Luca Argentero, presentando il film Una Famiglia Sottosopra di Alessandro Genovesi, dice una cosa semplice e grande: l’empatia andrebbe insegnata a scuola. Non come buonismo, ma come grammatica delle relazioni: riconoscere emozioni, dare un nome ai conflitti, chiedere e dare consenso. È materia viva: senza, crescono adulti che confondono l’altro per un oggetto che “mi spetta”. 
I numeri ci avvisano che non è un tema di costume ma di salute pubblica: i femminicidi restano una ferita stabile, dicono i report del Viminale. Le statistiche oscillano, ma la fotografia non cambia: la maggior parte delle donne uccise muore per mano del partner o ex. E i dati servono, perché senza misurazione non c’è prevenzione. 
Qualcosa si muove: tra “alfabetizzazione emozionale” e progetti educativi si riconosce che a scuola non si studiano solo materie, si impara a stare al mondo. Empatia non significa dare sempre ragione all’altro, significa vederlo: imparare a dire “no” e a sentire il “no” altrui. È l’anticamera del rispetto. 
Per questo l’ora di empatia non è un di più, è infrastruttura democratica: previene la violenza di genere prima che diventi reato, allena cittadini prima che studenti. Se ci crediamo davvero, non basterà una “settimana a novembre”: servirà tutto l’anno, come matematica e lingua. Perché non c’è futuro più moderno di una classe che sa mettersi nei panni degli altri.

















