C’è un ragazzo sulla soglia del futuro: si chiama Algoritmo. Oggi l’Italia gli ha messo casco e libretto. Una legge tutta sua, prima in Europa: fino a cinque anni di carcere per i deepfake che feriscono, tutele per i minori, regole sul lavoro. A vigilare, AgID e Agenzia per la cybersicurezza. In dote, un fondo fino a un miliardo per l’innovazione. E in corsia preferenziale – scuola, sanità, giustizia – l’obbligo di trasparenza e di controllo umano. Ma è tutela o freno a mano al futuro?
Il passato insegna che la tecnologia senza argini fa mostri, con argini crea mercati. L’argine c’è; manca il fiume di investimenti veri. Perché quel miliardo evocato dal governo è più mancia che banchetto se lo confronti con gli Stati Uniti e la Cina.
Allora, di che cosa abbiamo davvero bisogno? Di centri di ricerca che non siano cattedrali nel deserto, di dati di qualità, di imprese che restino e crescano. Le regole servono a non schiantarci alla prima curva. Ma poi ci vogliono benzina, meccanici, e una strada che porti lontano. Altrimenti l’Algoritmo resta quello: un ragazzo sveglio, ma senza patente.



















