La morte di Forattini è notizia e specchio: ridere del potere resta un dovere civico. È scomparso a Milano a 94 anni il vignettista che ha attraversato redazioni e stagioni, da Panorama a la Repubblica, da Il Male a La Stampa, Il Giornale e QN. Ha segnato titoli e nervi scoperti, con la matita più temuta dai politici di ogni colore.
Che cosa resta quando la matita si ferma: più silenzio o più archivi da rileggere?
Resta l’idea che la satira non consola, misura: se punge, la democrazia respira; se non punge, il potere dorme. Forattini ha allungato il raggio d’azione del disegno, facendone un editoriale che si legge in un colpo d’occhio. In un Paese che spesso confonde rispetto con deferenza, ricordava che il diritto a graffiare è parte della libertà di stampa. I suoi bersagli cambiavano, il principio no: nessuno è intoccabile, tanto meno chi governa. E oggi che la politica vive di immagini, proprio un’immagine ci ricorda la regola più semplice: il potere sopporta la critica, o non merita il potere, perché la satira sopravvive ai suoi autori e tocca a noi tenere affilata la matita.


















