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Tradizione del pane a Roma, la parola agli esperti

Michelangelo Letizia by Michelangelo Letizia
7 Aprile 2012
in Senza categoria
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Tradizione del pane a Roma, la parola agli esperti
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Fare il pane non è solo un mestiere, è anche un arte, che si tramanda di padre in figlio. Lo conferma Riccardo Ciotti, docente di corsi sulla panificazione presso la Fondazione Agnelli e titolare dello storico panificio romano “Le Bontà”, in via dei Volsci 83 a Roma, nel quartiere San Lorenzo: «questo panificio ha dato l’alimentazione – il pane – a tutto il quartiere di San Lorenzo». Sito in un palazzo risalente agli anni della seconda guerra mondiale, il locale fu anche coinvolto nel bombardamento allo Scalo di San Lorenzo, sempre il titolare racconta « questo è uno di quei palazzi che venne colpito dalle bombe e successivamente incatenato per poterlo tenere in piedi e poi restaurarlo definitivamente».
L’attività è aperta dal 1910, prima stava in via dei Marrucini, poi dopo il bombardamento si è spostato qui. E’ stato sempre un panificio generazionale ‘di famiglia’ prima di proprietà dei Songini e poi – dal ‘78 in poi – dei Ciotti « noi vendiamo esclusivamente al dettaglio. Anche se sono nate una grande quantità di pizzerie e centri commerciali nella zona, non abbiamo alterato la nostra attività. solo da pochi anni abbiamo inventato il nome “Le Bontà”»
Nell’arco del tempo la panificazione è cambiata, non è più quella di una volta, perché sono cambiate le tradizioni in famiglia. Il pane veniva comprato dalle massaie di mattina presto, per averlo all’ora di pranzo in tavola, dove c’era una vera e propria riunione familiare: il pranzo. Che è un appuntamento culturale italiano per lo più scomparso, sempre più fuori casa, sempre più mordi e fuggi.
Si è persa anche la tradizione del pane tipico di Roma: la frusta e la ciriola, che prima rientravano nel calmiere dei prezzi e non dovevano superare un certo costo e una certa grammatura. Ad esempio, la ciriola, che pesava circa un etto, ormai è diventato un pane di lusso. «Noi già 35 anni fa’ abbiamo cominciato a fare dei pani speciali: alle olive, alle noci, farciti. Un pane che usciva fuori dai canoni tradizionali, combinato con il culto dell’arte culinaria, un pane che si abbinava con formaggi piuttosto che con affettati o con carni, o addirittura vini. «Siamo passati da un pane per la massa, a un pane per la degustazione».
Storicamente il pane era prodotto settimanalmente dalle massaie che portavano a cuocere gli impasti nei forni comuni. C’erano le “madie”, che erano strutture per poter conservare gli impasti, che a seconda del tempo in cui rimangono fermi, confericono al pane diverse caratteristiche di bontà.
Non venivano usati dei lieviti di panificazioni, ma la madre del lievito.
Veniva sempre lasciata un pezzo di massa a macerare, che veniva poi riprodotta per dare altro lievito, togliendo la parte scura, lasciando la cosiddetta anima e quest’ultima rimpastata per dare appunto altra sostanza. Tutto questo si faceva in casa e lo facevano le donne. Il lievito madre ha dei fermenti che fanno bene all’intestino e inoltre, lo rende più buono. Il lievito madre ha dei tempi più lunghi rispetto al lievito per panificare, ma ha una profumazione inconfondibile.
Nella rivendita di Ciotti troviamo oggi meno pane e più pizza (pizza con l’impasto del pane, più morbida, a lievitazione lunga). La pizza bianca da forno è una tradizione e qui siamo certi di trovarla, insieme a biscotteria da forno, pane integrale, panini all’olio, pane casareccio, pane al sesamo, al papavero, pizzette rustiche.
«Qui il prodotto parte tutto dalla panificazione. I lieviti sono semplici e non facciamo neanche le glasse. Evitiamo le sofisticazioni perché così facendo non alteriamo il gusto di base del prodotto naturale. Ciò non significa essere meglio del bar o della pasticceria, semplicemente offriamo un prodotto diverso.» Anche la colomba pasquale è fatta con ingredienti uguali a quelli della colomba tradizionale, la differenza sta nell’uso del lievito madre e la durata del prodotto è sicuramente più breve degli standard, perché non ci sono conservanti.
La crisi c’è e si sente, noi siamo un po’ il termometro del mercato, in un panificio si ricerca il prodotto, in un centro commerciale, il prezzo. Se la gente avesse maggior potere di acquisto, sceglierebbe la qualità.
Lavorando la farina ci rendiamo conto dell’aumento dei prezzi a livello globale. Conoscere il mestiere significa saper comprare le farine adeguate per rispettare i canoni del processo di panificazione tradizionale, per mantenere sempre il prodotto alla massima qualità. La scelta e la lavorazione delle materie prime fa parte di un’insieme di conoscenze che si tramandano di padre in figlio. «La farina la devi conoscere». Michelangelo Letizia

Michelangelo Letizia

Michelangelo Letizia

Giornalista, Editore

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