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Case famiglia: quale futuro per i ragazzi?

Secondo Michela Di Vincenzo, responsabile di una struttura a Villanova di Guidonia, queste realtà dovrebbero rappresentare un momento di passaggio per i giovani

Floriana Barone by Floriana Barone
26 Marzo 2013
in Senza categoria
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Case famiglia: quale futuro per i ragazzi?
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da sinistra a destra: Ilaria Pantellini, coordinatrice dei servizi; Michela Di Vincenzo, responsabile della struttura; il giovane Russel e Annamaria Abete, educatore

La Cooperativa Crescere Insieme è nata nel 2008 per volontà della dott.ssa Michela Di Vincenzo, che gestisce una casa famiglia per minori da 0 ai 18 anni a Villanova di Guidonia. Attualmente la casa ospita 10 adolescenti, che hanno alle spalle storie di disagio e violenza: genitori con problematiche psichiatriche o tossicodipendenti, maltrattamenti, cattiva igiene, ambienti inadeguati e, di conseguenza, un numero elevato di assenze a scuola.
“Il 95 % dei ragazzi arriva qui a per una valutazione di un assistente sociale, che effettua il loro inserimento attraverso i tribunali – spiega la dott.ssa Di Vincenzo –. Molto spesso sono i genitori dei ragazzi extracomunitari, appena scesi dai ‘barconi’ a chiedere di essere ospitati qui. Hanno tra i 14 e i 16 anni e arrivano dal Bangladesh o dall’Egitto e cercano l’‘America’ in Italia. In questo caso, l’obiettivo è quello di renderli autonomi, affinché, compiuti i 18 anni di età, possano ‘cavarsela da soli’”.
Infatti, a 18 anni e un giorno, questi adolescenti vengono lasciati ‘in strada’ dallo Stato italiano, che li ritiene sufficientemente maturi per provvedere alla loro vita: “Dopo aver speso ingenti somme per mantenerli, non prospetta loro un futuro – precisa la titolare della casa famiglia –. E quindi si tratta di fondi persi. Fino a pochi mesi fa, esistevano, dirette dal V Dipartimento, strutture di semi-autonomia. Oggi, l’alternativa è la strada verso casa: l’anno scorso un ragazzo è ritornato dal padre di nazionalità israeliana che, anni prima, aveva abusato sessualmente di lui e dei suoi fratelli più piccoli. I due bambini fortunatamente, data la loro giovanissima età, erano stati dati in adozione e in affidamento. Ma per il primogenito questa possibilità non è stata praticabile”.
E poi ci sono piccole storie con un finale diverso, che aiutano a sperare: “Un mese fa un giovane del Bangladesh, Russel, ha raggiunto i 18 anni e ha concluso il suo percorso nella struttura: siamo riusciti a trovargli un posto di lavoro e ora fa il cuoco in un ristorante qui vicino e convive in un appartamento insieme ad altri suoi connazionali – racconta Michela –. Il vero problema è che lo Stato italiano inserisce i ragazzi nelle case famiglia, facendoli rimanere lì per 2 o 3 anni: questi luoghi dovrebbero rappresentare momenti di passaggio. Se i loro genitori sono socialmente irrecuperabili, è inutile lasciare gli adolescenti fermi per 5 anni in una struttura, in attesa magari di una sentenza del tribunale, ma dovrebbero essere immediatamente dati in affidamento o in adozione, perché tutti i bambini hanno bisogno di due figure di riferimento”.
Allora la dott.ssa Di Vincenzo ribadisce, attraverso un esempio, quanto possa essere risolutivo un intervento tempestivo a favore dei bambini di cui si prende cura: “Ho una bellissima ragazza rumena di 14 anni: la madre ha la possibilità di vederla una volta a settimana, ma, fino ad ora, non è mai venuta. Non la vuole. Ho provato a capire se esistevano le condizioni per l’affidamento o l’adozione, ma è troppo grande ed la situazione diventata complicata”.
In base ai turni programmati, nella casa famiglia si alternano 7 operatori e una ragazza che si occupa delle pulizie: “Una settimana fa un operatore di Guidonia ha violentato una bambina – racconta la responsabile –. Non credo si trattasse di un professionista, ma di un volontario. Il punto è che serve personale qualificato: il Comune, i Servizi Sociali e della stessa comunità di appartenenza devono effettuare controlli adeguati. Per fare questo lavoro ci vuole grande amore verso il prossimo, estrema sensibilità e pazienza, di fronte a ragazzi che sono stati malmenati o violentati. Si guadagna poco perché bisogna gestire una struttura e le spese sono altissime: assicurazione, cibo, libri, vestiti, orario full-time. Ogni ospite ha un progetto educativo personalizzato, frequenta la scuola, pratica sport, i boy-scout e organizza qui le feste, Natale e Capodanno. Da noi i ragazzi devono essere uguali a tutti gli altri. Sono a casa loro, come una vera famiglia”. Floriana Barone

Floriana Barone

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