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Alla Biblioteca comunale “Gianni Rodari”, al Casilino, proiettato “Dustur”, documentario del regista Marco Santarelli

Emanuele Merlino: "Un film sulle due dialettiche, tra dentro e fuori il carcere e tra Occidente e Islam"

Fabrizio Federici by Fabrizio Federici
28 Maggio 2018
in Senza categoria
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Alla Biblioteca comunale “Gianni Rodari”, al Casilino, proiettato “Dustur”, documentario del regista Marco Santarelli
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dustur

A Roma, presso la Biblioteca comunale “Gianni Rodari”, in Via Francesco Tovaglieri al Casilino, oggi, 28 maggio, è stato proiettato “Dustur”, documentario del 2016 del regista Marco Santarelli, premiato in vari festival internazionali ( come il XXXIII Torino Film Festival e il XXXVIII Cinéma du Rèel di Parigi) . L’iniziativa è stata organizzata da Emanuele Merlino, responsabile attività culturali della “Gianni Rodari”, scrittore, Vicepresidente nazionale del “Comitato 10 febbraio”, sorto con la legge 92 del 2004 sul Giorno del Ricordo, e vòlto a promuovere la conoscenza delle tragedie delle foibe e dell’ esodo giuliano-dalmata del 1945- ’47, nonchè della storia e dell’ attualità dell’ italianità nell’ Adriatico orientale.

Il film è stato preceduto da un cortometraggio sui diritti umani dell’ AICEM, Associazione Internazionale Cooperazione Europa Mondo (nata a Roma, nel 2008, per iniziativa di vari studenti universitari, neolaureati e giovani professionisti, vòlti a creare una cultura della cooperazione internazionale partecipata).

 “Dustur”, in arabo, significa “Costituzione”. Nel film di Santarelli assstiamo alle lezioni d’un laboratorio, organizzato nella biblioteca del carcere di Bologna, che, partendo dalconfronto tra la Costituzione italiana e quelle di alcuni Paesi arabi, si propone di redigere una Carta costituzionale ideale che raccolga istanze e desideri di tutti i partecipanti, e soprattutto preveda strumenti atti a concretizzare i valori e le speranze già connessi alla nostra, e rimasti purtroppo, in gran parte, pura teoria.

Negli incontri filmati da Santarelli, i protagonisti parlano di diritti, doveri e solidarietà, democrazia e libertà individuali, libertà di coscienza e di culto: con un occhio (e, soprattutto, la mente e il cuore) rivolti al dopo, al ritorno alla libertà ( come non pensare, qui, al mitico “Cesare deve morire”, dei fratelli Taviani?). I partecipanti sono un gruppo di detenuti, in buona parte nordafricani di religione islamica, di cui molti giovanissimi e alla prima esperienza di detenzione, che han seguìto a distanza, ma sentendosene coinvolti, lo scoppio delle Primavere arabe e l’escalation del fondamentalismo islamico (alla cui propaganda rischia, compensibilmente, di essere più esposto proprio chi è privato della sua libertà in un Paese occidentale).

Tra gli organizzatori ci sono un giovane mediatore culturale musulmano, Yassine, e il cattolico Padre Ignazio, membro della “Piccola Famiglia dell’ Annunziata” fondata dal celebre Giuseppe Dossetti, il prete, partigiano e giurista, tra i protagonisti, nel ’46- ’47, dei lavori della nostra Assemblea Costituente.A unire i due mondi, permettendo al regista di costruire una vera dialettica tra il fuori e il dentro il carcere, c’è il marocchino Samad, libero con la condizionale, che lavora in fabbrica, studia Giurisprudenza e racconta nelle scuole e a questo gruppo di carcerati la breve esperienza di giovane e incosciente narcotrafficante, che l’ ha portato all’arresto e alla condanna a 4 anni per spaccio internazionale di stupefacenti.La sua figura ci pone di fronte alla questione centrale delle effettive possibilità di reinserimento nella società degli ex detenuti: possibilità cui, purtroppo, oggi possono realmente accedere solo pochi di essi, e ancora meno se immigrati o richiedenti asilo.

Nel finale del film, Samad viene accompagnato da Padre Ignazio nei luoghi dell’ eccidio di Marzabotto, e presso il cimitero di Casaglia ( nel parco regionale storico di Montesole, sorto nel 1989 in memoria delle stragi naziste di Marzabotto e comuni limitrofi del settembre-ottobre 1944), dov’è sepolto Don Dossetti. Come si vede, vari sono i temi del documentario: “che abbiamo voluto proiettare”, precisa Emanuele Merlino, “appunto per la sua natura di documento dal vivo, molto piu’ eloquente, in quanto nuda testimonianza, di qualsiasi fiction anche ben fatta”.

 

Fabrizio Federici

Fabrizio Federici

Fabrizio Federici

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