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Home Esteri

La Polonia esce dalla Convenzione di Istanbul

Governo tra spinte conservatrici e nuovi rapporti di forza: stretta contro la gender equality

Giovanna Spirito by Giovanna Spirito
29 Luglio 2020
in Attualità, Esteri, Politica
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Il ministro polacco della Giustizia Zbigniew Ziobro ha comunicato l’avvio della procedura per l’uscita del Paese dalla Convenzione internazionale contro la violenza sulle donne adottata dal Consiglio d’Europa nel 2011 e sottoscritta dalla Polonia nel 2012. Secondo il ministro avrebbe «elementi di natura ideologica» e negando la differenza di sesso tra uomini e donne violerebbe così «i diritti dei genitori» laddove prevede che le scuole insegnino ai bambini che il sesso è una scelta. Ziobro vuole prendere le distanze dalla cosiddetta “ideologia gender”, già oggetto di aspre critiche da parte delle associazioni cattoliche e dei movimenti conservatori di tutto il mondo.

Ma procediamo con ordine e cerchiamo di capire quali sono gli obiettivi che la Convenzione di Istanbul – primo straordinario strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza – all’art. 1 intende perseguire:

“a) proteggere le donne da ogni forma di violenza e prevenire, perseguire ed eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica;

b) contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne e promuovere la concreta parità tra i sessi, ivi compreso rafforzando l’autonomia e l’autodeterminazione delle donne;

c) predisporre un quadro globale, politiche e misure di protezione e di assistenza a favore di tutte le vittime di violenza contro le donne e di violenza domestica;

d) promuovere la cooperazione internazionale al fine di eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica;

e) sostenere e assistere le organizzazioni e autorità incaricate dell’applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente, al fine di adottare un approccio integrato per l’eliminazione della violenza contro le donne e la violenza domestica.”

Elemento centrale della Convenzione è la tutela delle donne e la promozione della parità di genere: al fine quindi di perseguire tali finalità, l’art. 3 dà la definizione del termine “genere” chiarendo che “ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini”. Secondo il ministro polacco questa definizione comprenderebbe concetti troppo ampi e fuorvianti che legittimerebbero l’esistenza di un terzo genere, si allude a quello “transgender” concetto che, benché non sia mai menzionato, secondo l’interpretazione data da Ziobro renderebbe la Convenzione portatrice di valori che la Polonia non intende condividere.

A tal proposito si ricorda che tutti gli ordinamenti giuridici degli Stati che hanno aderito alla Convenzione, hanno mutuato il termine ‘genere’ non da un’ideologia proposta da uno specifico gruppo sociale o politico, ma da studi antropologici e sociologici, che lo usano per indicare la dimensione sociale dell’essere uomo o donna.

Secondo questi studi, dunque, mentre il sesso dipende da una caratteristica biologica, la nozione di genere è stata introdotta per indicare le differenze psicologiche, sociali e culturali, assunte come variabili nel tempo e mutevoli da cultura a cultura. Il genere va inteso come costruzione sociale della differenza sessuale.

In ultimo neanche l’inciso dell’art. 14 della Convenzione convince il ministro polacco, laddove prevede che gli Stati “intraprendono le azioni necessarie per includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado dei materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le donne basata sul genere e il diritto all’integrità personale, appropriati al livello cognitivo degli allievi.”

Secondo Ziobro, fornire materiale didattico per promuovere una cultura dell’infanzia e dell’adolescenza improntata su una concezione di ruoli di genere non stereotipati è considerata una lesione dei diritti dei genitori, una negazione del sesso biologico, una promozione dell’ideologia gender.

Non è così e questa irresponsabile stretta contro la gender equality, che vede svanire nel nulla quanto di buono in questi anni è stato fatto per la tutela dei diritti civili, non può che destare oggettiva preoccupazione.

Giovanna Spirito

Giovanna Spirito

Avvocato, autrice di libri e articoli nel settore giuridico.

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