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Home Editoriale

L’ottuso, non è solo un angolo ma virus destabilizzante

Carol Gabriella Maritato by Carol Gabriella Maritato
22 Giugno 2021
in Attualità
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L’ottuso, non è solo un angolo ma virus destabilizzante
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Possiamo azzardare che oggi, l’arretramento civile e il conseguente scompaginamento sociale, sono il prodotto del “sordido lavoro” della moltitudine di “ottusi”, di ogni ordine e grado; dovuta all’azione lenta e continua di chi ogni giorno ordisce trame infettate, iniettando un “virus” purulento, fra le maglie vitali di questa nostra “nuova Babele”.
Quanti poi, dalle proprie postazioni, restano ad assistere da spettatori impotenti, alla smobilitazione di ogni regola, alla scomparsa graduale della cultura della civiltà, di ogni regola democratica e, al tracollo finale della “ex società civile”… ad oggi, non è dato conoscere.
Ottuso, viene dal latino obtundere (ob = contro, tundere = colpire, percuotere), significa smussare, ovvero togliere angoli e spigoli, Ottuso è dunque, ciò che è stato reso – o è proprio nato – “piatto e privo di acume”. In nessun ambito si registrano eccezioni, attualmente, pubblico e privato, sono in balìa dell’Ottuso. Paradossale, ma pericolosa è questa condizione, da valutare con estrema attenzione, perché “si può vivere nel paese più democratico della terra, ma se si è interiormente pigri, ottusi, servili, non si è liberi”, come Ignazio Silone fa dire a Pietro, nelle pagine del suo celebre racconto “Vino e pane”. Ricordo bene che, nella Pubblica Amministrazione, erano basilari, le consolidate procedure legate al momento dell’assunzione – le cosiddette “promesse solenni” – e i successivi “giuramenti” “(Art. 11. Del DPR 10/1/’957).
La chiamata a “svolgere un servizio” per la Comunità, aveva inizio con due “cerimonie” significative, la prima all’atto dell’assunzione, la seconda, sei mesi dopo al termine del cosiddetto “periodo di prova”. Prima di assumere regolare servizio, il neo-assunto, era chiamato e davanti al capo dell’ufficio, in presenza di due testimoni, alla presenza dei quali, egli doveva proferire prima la “solenne promessa” e, subito dopo il “giuramento”, ripetendo a distanza di sei mesi: “Prometto di essere fedele alla Repubblica, di osservare lealmente la Costituzione e le leggi dello Stato, di adempiere  ai  doveri  del  mio  ufficio nell’interesse dell’amministrazione per il pubblico bene”. Era un atto di straordinaria importanza che, in caso di rifiuto, comportava la “decadenza dall’impiego”. In quelle sottolineature codificate, lo Stato ribadiva i punti cardine che sarebbero stati alla base del lavoro futuro dell’impiegato: la fedeltà alla Repubblica, alla Costituzione, alle leggi, ai propri doveri e alla “mission” che bisognava, necessariamente, portare avanti insieme al “capo” o al datore di lavoro; tutto ciò in funzione del “bene della Comunità”, che risultava il “fine superiore”. L’obbligo di fedeltà poi, per i lavoratori pubblici e privati, è sancito dall’art. 2105 codice civile; con l’obbligo di segretezza, con la responsabilità e la salvaguardia del “know how” e, il vincolo di non creare situazioni di conflitto e di concorrenza, né verso il capo o il datore di lavoro, né verso l’impresa; secondo le nostre leggi, infatti, sono da scongiurare quegli atti, che possono ledere il vincolo fiduciario del rapporto di lavoro stesso. Queste consuetudini e le azioni formali, sono oggi completamente in disuso, cadute nel dimenticatoio, anche se, dobbiamo riconoscere che quanto è avvenuto non è stato senza “qualche responsabilità” della classe dirigente. Forse una nutrita schiera di “ottusi” di alto cabotaggio, non è riuscita e non riesce tutt’ora, a intravvedere ciò che si celava in quegli atti e, il “tesoro” contenuto in quelle formule. In quella frase c’erano gli “argini” naturali, forniti dallo Stato “alla coscienza individuale di ciascun lavoratore”, c’era l’indirizzo preciso per l’opera e l’azione futura, la “credenza” personale dove era ben custodita la responsabilità di ognuno, la “dispensa” ove albergavano i principi del “bene comune, il bene di tutti”. Crollati gli argini, l’Ottuso si è impadronito del governo della cosa pubblica e, anche di tanta parte del lavoro privato. L’Ottuso, in questo tempo, in connivenza o senza controllo, si è reso protagonista, si è meglio specializzato, adesso riesce persino a mutare la pelle, si mimetizza, s’adatta e si gonfia. Non è più solamente il soggetto privo di acume, d’ingegno e di perspicacia ma, camaleonticamente, è anche quello capace di sovvertire e variare alla bisogna, l’ordine d’importanza d’ogni regola e d’ogni legge. Una caterva d’indolenti, pedissequamente, “fa” solo quello che viene loro comandato, a volte anche, ben sapendo di non fare né “cosa giusta”, né “cosa retta”! Troppo spesso asseconda, anche nei rari casi di palesi reati, senza mai sentirsi coinvolto, senza mai considerare che, come dice l’adagio popolare: non è solo ladro chi ruba, ma anche chi gli tiene il sacco! Tanti altri si auto-proclamano “paladini della norma” e, sbandierano e interpretano arie meglio di Pavarotti, adattano e piegano norme e regole a proprio piacimento, infischiandosene del prossimo, precludendo da ogni utilità umana comune e, da ogni lapalissiano buon senso. Tanti altri ancora ci speculano sopra, cercando, ad ogni costo, profitto da ogni situazione. Bubboni di una società “malata”, garantiti all’apice, da un mondo di “soggetti” piccoli, poco responsabili nell’adempiere ai compiti loro demandati dalla stessa società civile.
E’ cosi, in genere, fra il lavoratore onesto e responsabile e, il “traffichino” capace di ogni nefandezza, di ogni intrallazzo in barba al prossimo, è al secondo che, vanno le attenzioni degli “ottusi al vertice” della piramide della responsabilità. L’insolvenza per gli obblighi verso lo Stato, la Costituzione le leggi e la Comunità, trova le giuste saldature e le migliori sinergie fra quella parte della classe preposta al comando, a volte impreparata, opportunista, onnivora, tuttologa e l’ottuso “scelto”; che, grazie alle favorevoli circostanze, prova non solo a inventarsi scaltro e, a curare il proprio tornaconto, ma anche a destabilizzare la stessa convivenza civile della nazione. I diritti dei più, vengono ogni giorno sistematicamente oltraggiati, negati, sottratti e ritardati, proprio per continuare a garantire il giro illecito degli oboli da estorcere da ogni legittima necessità. Ha ancora un vantaggio l’ottuso, con l’evoluzione delle procedure informatiche, grazie all’avvento del tempo dei Pin, dei Spid dei Puk, dei Red, delle password, che ha quasi cancellato il contatto umano; l’ottuso trova terreno fertile da una tastiera da remoto, in assoluto anonimato, allontana i diritti via Pec, via mail e li fa scomparire del tutto. Si dice poi, che più di qualcuno, neanche le apra le Pec! …perché aprendole né diventerebbe il responsabile! …poi c’è ancora un forte antidoto che neutralizza le Pec! Quello affidato ad un messaggino che ci dice che la posta non può essere così carica (allora l’utente fa più invii e diminuisce gli allegati) per poi, dopo qualche mese, facendo protesta di persona, ti spiegano, dopo aver chiesto e indagato da quale Pec avevi inviato le richieste (!), che: “di giungere è giunta, ma con un solo allegato!” L’utente è colpito, senza difesa, affondato, morto! L’ottuso continua a viaggiare bene, in questo tempo di lobbies, di confraternite, di corporazioni auto-garantite per affinità sessuale e, non “cade” mai, perché sprofondare non può, raschiando egli il fondo del baratro, già da qualche lustro.
Tags: Roma
Carol Gabriella Maritato

Carol Gabriella Maritato

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