Siamo nel Salento centro-orientale in provincia di Lecce, e qui è ubicata l’Abbazia di San Niceta a Melendugno, dedicata al martire protettore della città, messo al rogo per la sua fede cattolica, per ordine del re ariano Atanarico. Seguito recenti studi, lo scorso 30 settembre nella sede della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Brindisi, Lecce e Taranto sono stati presentati i risultati della campagna di scavo finanziata con fondi del Comune di Melendugno e del Consorzio Interuniversitario Salentino per il secondo anno consecutivo. Sono intervenute numerose personalità , tra queste: il soprintendente, arch. Antonio Zunno, la dott.ssa Antonella Pansini – funzionaria archeologa e responsabile per il Comune di Melendugno, il dott. Maurizio Cisternino – sindaco di Melendugno, il prof. Girolamo Fiorentino – direttore del Dipartimento Beni Culturali di UniSalento, e il dott. Marco Leo Imperiale – direttore scientifico dello scavo e del Dipartimento Beni Culturali di UniSalento. Come dichiarato da quest’ultimo: “Stiamo riportando alla luce una storia dimenticata, quella di una piccola abbazia italo-greca che nel Medioevo ha rappresentato un importante centro di gestione delle risorse agricole del territorio, nonché ancora adesso un luogo di grande devozione per gli abitanti di Melendugno. Accanto agli importanti risultati della ricerca scientifica, il nostro lavoro potrà essere utile per restituire alle comunità locali una parte poco nota del loro passato». Il prof. Girolamo Fiorentino ha a sua volta precisato come: « Il progetto sull’abbazia italo-greca di San Niceta, a Melendugno, si iscrive a pieno titolo tra le attività scientifiche che il nostro dipartimento porta avanti guardando anche alla crescita dei territori attraverso la valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico. In questo contesto, il comune di Melendugno è un partner strategico grazie ad una serie di iniziative che sono partite alcuni decenni fa con gli scavi di Roca e che ora contemplano anche il patrimonio di età bizantina e medievale».
Hanno partecipato a questo ambizioso lavoro archeologi e studenti di archeologia provenienti dai corsi di laurea e di specializzazione dell’Ateneo salentino ma anche da altre università italiane.
Le ricerche hanno portato alla luce, per la prima volta, resti riconducibili all’abbazia e alla gestione agricola dei suoi vasti possedimenti terrieri, strutture e materiali che risalgono all’età bizantina (X-XI secolo) ma soprattutto all’età normanno-sveva. È stato individuato un imponente edificio in pietra a secco quadrangolare, di poco più di 5 metri di lato, all’interno del quale era collocata una fossa granaria ancora in parte sigillata con delle iscrizioni in greco, già al vaglio degli epigrafisti. Nell’area sono state reperiti resti di altri edifici afferenti all’abbazia. Grazie a studi di monete bizantine dell’XI secolo circolanti anche in età normanna e, in particolare, una moneta di Federico II coniato nella zecca di Brindisi permettono di datare queste strutture all’età normanno-sveva, sebbene l’abbazia dovrebbe risalire al X secolo, come dimostrano vari materiali archeologici di quel periodo rinvenuti nell’area. La fondazione del monastero potrebbe essere quindi legata alla seconda colonizzazione bizantina, quando la mobilità dei religiosi italo-greci nella penisola aumentò sensibilmente, anche a seguito dell’avanzata araba in Sicilia e Calabria. Di particolare rilievo è il rinvenimento di un consistente gruppo di fosse granarie, una trentina, che testimonia l’intensa messa a coltura e l’ingente gestione agricola di un’ampia porzione costiera affidata al monastero. Lo scavo integrale di uno di questi granai scavati nella roccia, profondo circa 2,50 m, ha permesso di recuperare dati sulle colture praticate nell’area (grano tenero e duro, orzo) ma anche di stimare l’ingente produzione agricola, che forse poteva superare le 200 tonnellate di granaglie. E’ stato altresì messo in luce un settore del cimitero abbaziale col reperimento di sei sepolture, che grazie ad analisi antropologiche, daranno informazioni su coloro che vivevano in questo luogo durante il XII e il XIII secolo. Il Sindaco di Meledugno ha avuto parole di plauso per il sapiente lavoro svolto dagli archeologi sotto la Direzione scientifica del prof. Imperiale, grazie al quale sono state restituite pagine di storia mail lette, ed ha anche ringraziato pubblicamente il signor Paolo Santoro, proprietario del fondo dove si stanno conducendo gli scavi. Il dott. Cisternino altresì sottolineato come: «l’attività degli studiosi con le loro straordinarie scoperte arricchiranno l’offerta turistico culturale del nostro territorio, già ampliamente apprezzato dal turismo italiano e internazionale per la bellezza delle sue marine».
di Daniela Paties Montagner
immagine in evidenza: Gruppo di archelogi, ©Comune di Meledugno
















