Roma, 3 marzo
Dal 3 al 15 marzo al Teatro Argentina è in scena il Mito di Don Giovanni, né secondo Molière né secondo Mozart, ma secondo Filippo Timi che riscrive e interpreta la celebre opera venando il personaggio libertino di humor nero e di grande vitalità. Sarà affiancato da un nutrito gruppo di attori, tra cui Lucia Mascino, Umberto Petranca, Marina Rocco e Alexandre Styker.
Don Giovanni ha capito che la vita è una farsa che si trasforma in tragedia, giustificata solo dalla morte. Questa consapevolezza lo trattiene. Non brucia mai veramente, desidera bruciare e promette l’inferno. La sua arte è teatrale, recita così bene la promessa che è impossibile non credergli o ancora meglio non desiderare credergli. Il suo rapporto con Donna Anna, Donna Elvira e Zerlina è evidente: Donna Elvira è l’amore vero, quello che appartiene al passato, Donna Anna è l’amore ingannatore e pertanto violento, Zerlina è l’amore della seduzione, del desiderio di purezza.
Ognuno ha la propria storia, io la mia, tu la tua, voi la vostra e Don Giovanni ha la sua. Non l’ha scelto lui di nascere Mito, gli è capitato, e lui non si sottrae dall’essere se stesso. Ecco in cosa è grande. Non perché accetta la morte, ma perché accetta a pieno le conseguenze, inevitabili, dell’essere nient’altro che se stesso.
Le parole di Filippo Timi: «Don Giovanni conosce la sua fine, è solo questione di rincorsa. È l’umanità finalmente priva di quelle morali colpevoli dell’assurdo destino verso cui stiamo precipitando. La colpa non è certo della storia, o di tutti quei cristi che c’hanno professato amore, ma nostra: la fame di potere insita nell’uomo, nessuno escluso, la fame di resistere e di ingannarsi piuttosto che sopravvivere. Don Giovanni è un’intera Storia dell’umanità che muore. Finalmente, dopo la sua rincorsa, dopo millenni di fame, ecco che paga il conto. Non c’è scampo: se neppure un’umanità sveglia e godereccia, fuori dalle regole e concentrata sul piacere, non può esimersi dalla morte, allora, neppure noi possiamo più far finta di nulla. Solo schiavi delle proprie miserie e dei propri desideri più neri ci si riappacifica con la propria infanzia e si è pronti a vivere la morte».
L’attore e regista perugino riscrive il Don Giovanni in una chiava pop barocca: un seduttore schiavo del suo piacere, parallelo di un’umanità contemporanea colma di contraddizioni, assetata di potere e, anch’essa, come quest’ultimo, logorata dai medesimi schizofrenici e ossessivi inebriamenti.
Sfavillante, ironica e a tratti kitch l’opera approda a grandi temi, attraverso mezzi ludico erotici, accompagnandosi ad una colonna sonora che spazia dal rock della Bohemian Rhapsody dei Queen a Renato Zero e da costumi straordinariamente insoliti.
«La storia che racconto è assolutamente quella di Da Ponte – dice l’attore – gli snodi narrativi sono rispettati, solo che l’ho completamente riscritta con parole mie perché fosse contemporanea. Dal barocco ho ripreso la schizofrenia, l’altalena tra alto e basso e le contraddizioni di alcuni personaggi che sembrano delle belle statuine di Capodimonte ma appena aprono la bocca ne esce un fiume osceno e greve di parole».
di Donatella De Stefano