di Alberto Zei
Purché altrove – Malgrado ogni possibile propaganda contraria, sorgono ormai un po’ in tutte le parti del mondo centrali elettriche ad energia nucleare.
Il nostro Paese aperto a tutte le genti e a tutte le loro idee, si schiera invece, senza mezzi termini, contro coloro di casa nostra che solo accennano a questa malsana possibilità.
Meglio dunque mantenerci adesso la poca energia che disponiamo, anche a costo di rimanere fuori mercato della iniziata ripresa industriale europea, che ricorrere alla produzione di energia nucleare in proprio. Magari seguiteremo a comprarla in Francia dalle sei centrali nucleari che alla frontiera producono energia elettrica per il nostro Paese (che male c’è? Affari loro); mai però costruire in Italia qualcosa del genere. Questa assicurazione ci viene offerta per il nostro bene, a garanzia dell’ eventuale pericolo di inquinamento per l’ambiente circostante alla stessa centrale.
Per quanto riguarda invece il fall-out ovvero, la ricaduta delle particelle radioattive che si librano nell’area in caso di immissione accidentale, queste non contano. Non contano se si disperdono in altri luoghi dove la salute di quella popolazione sembra non interessare alla campagna antinucleare dei nuovi profeti di sventura di casa nostra. “Lontano dagli occhi lontano dal cuore”, potrebbe essere lo slogan dell’”Esercito della Salvezza” del nostro Paese.
Lontano dagli occhi lontano dal cuore – Se però vi fosse un incidente nucleare (che non c’è) in quelle centrali francesi che lavorano per noi, vendendo all’ Italia l’ energia elettrica che non produce, i contestatori italiani dovrebbero guardare la posizione geografica delle centrali francesi per rendersi conto dove il consueto vento di maestrale porterebbe l’ eventuale fall-out.
Non si può infatti accettare il pensiero che ciò che accade ad una centrale nucleare che non è costruita a casa nostra, non costituisca un pericolo anche per noi.
Possiamo però constatare per altra via, questo disinteresse dettato da motivi ideologici sul pericolo diretto nucleare, facendo riferimento a casi concreti veramente accaduti.
Non c’è bisogno di ricordare gli eventi e le vicissitudini della nube radioattiva trasportata dalle correnti e poi ricaduta nei vari luoghi in cui la nostra memoria ancora ricorre.
La domanda che sorge spontanea è: “Ma allora, per non correre un piccolo rischio in più che potremo meglio controllare direttamente sulle centrali di casa nostra, vale effettivamente la pena fare una sorta di questua di energia (che ci è indispensabile) ai nuclearisti di frontiera per pagare con i relativi ricarichi quanto ci concedono?”.
L’ importante è pagare – L’Italia però, per non cadere nella tentazione di adeguarsi alla politica energetica di tutti i Paesi della terra che se lo possono permettere, preferisce subire magari gli effetti radioattivi altrui, approvvigionandosi a caro prezzo, di circa il 20% delle necessità nazionali dalle centrali nucleari dalla Francia, come detto, nonché da quelle della Svizzera e dalla Slovenia.
Oltre ai costi di tal genere che l’Italia sostiene per ragioni energetiche, vi sono quelli sommersi sotto l’ illusione di essersi definitivamente liberati dal “nucleare”, in quanto le scorie delle centrali che avevamo nel passato e i resti delle necessità di terapia radioattiva utilizzata per i fini sanitari, sono rimaste senza una seria politica nazionale, abbandonate in modo molto costoso, negli stessi siti di stoccaggio “provvisorio a carattere permanente”; fatto questo da costituire rischio per la sottovalutazione dei danni, lenti ma inesorabili, che l’illusione della sicurezza, può causare.
La carrozza di Cenerentola – Ma adesso che stiamo uscendo dal tunnel della crisi, vale la candela insistere in nome dell’ideologia a compromettere la nostra capacità di crescita economica-industriale, se già fin d’ora ci rendiamo conto che stiamo arrancando in coda all’ Europa?
E’ bene ricordare che non esiste attività industriale senza consumo di energia e se questa non è a basso costo e in un certo qual modo, a volontà, non ci resta che imbarcare l’Italia sulla carrozza di Cenerentola dell’immaginario collettivo dei nostri sogni, sperando che qualche improbabile Principe Azzurro le restituisca nel mondo, il posto che invece sta assurdamente perdendo.