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Sapienza Co.Ri.S. tutela ‘intesa culturale, scelta di campo, centralità comunicazione’

Riflessioni, analisi critiche e sintesi dell’incontro ‘Siamo tutti Charlie? Libertà di stampa e dialogo fra culture dopo il 7 gennaio 2015’

Maria Anna Chimenti by Maria Anna Chimenti
3 Marzo 2015
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Sapienza Co.Ri.S. tutela ‘intesa culturale, scelta di campo, centralità comunicazione’
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coris centro congressi dall'alto ridotto

Giovedì 26 febbraio 2015, dalle 14.00 alle 18.00, in via Salaria 113, il Centro Congressi del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale dell’Università Sapienza di Roma -bonificato e blindato dal Commissariato Salario e dalla Sicurezza della Sapienza – ha ospitato il seminario ‘Siamo tutti Charlie? Libertà di stampa e dialogo fra culture dopo il 7 gennaio 2015’. Il dibattimento, relativo ai temi della libertà d’informazione e del dialogo fra culture dopo l’attentato di Parigi, del 7 gennaio scorso, al magazine satirico francese “Charlie Hebdo”, ha dato vita ad un’interessante giornata di studio tra i presenti. Relatori, giornalisti e studenti ‘gomito a gomito’, dopo aver passato il filtro della sorveglianza delle forze dell’ordine all’ingresso, si sono visti alle prese con un confronto riflessivo su esperienze e relative conseguenze, giornalismo, deontologia, etica, professionalità, culture, religioni, metodologia e ricerca alla luce di accadimenti attuali, recenti e passati.

Gli addetti ai lavori d’eccezione, oltre a Mario Morcellini, Direttore del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale, sono stati esponenti del giornalismo e del mondo della comunicazione come: Paola Spadari, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio;Zouhir Louassini, RaiNews; Eric Joszef, corrispondente di Liberatìon; Vincino, disegnatore e giornalista; osservatori come: Giampiero Gramaglia, Consigliere per la coordinatore e relatoriComunicazione IAI e Direttore Euractiv.it; Paolo Messa, fondazione Formiche; studiosi nazionali ed internazionali come: Francesca Rizzuto, Università di Palermo; Andrea Spreafico, Università Roma3;Fabien Wille, Université Lille 2, e Alessandro Porrovecchio, Université du littoral Côte d’Opale. Ha coordinato gli interventi Christian Ruggiero. E’ da ricordare che, il dibattito rappresenta un evento di apertura dei corsi di Area Giornalismo del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale, ed è inserito nel ciclo di seminari “BEJOUR – Becoming a Journalist in Europe: a Bridge Between Traditional and New Media”, modulo didattico dedicato alla comunicazione dell’Unione europea, cofinanziato dall’Azione Jean Monnet della Commissione europea.

Dopo i convenevoli di rito, molteplici gli interrogativi da cui trarre spunto e su cui palesare dubbi o opinioni. Come per esempio quello di sentirsi o meno tutti dei Charlie. La breve lettura di alcune righe del paragrafo “La potenza dei social media”, Cap. 4, tratto dal libro ISIS di Loretta Napoleoni, del Direttore del Dipartimento Mario Morcellini, fornisce subito l’incipit. E’ con le parole riguardanti l’eventuale “trasmissione culturale, la scelta di campo e la rivalutazione della centralità della comunicazione” che nasce il filo conduttore del dibattito nei punti di vista pro, contro, e qualcuno anche equilibrato, dei coinvolti, relatori e pubblico all’unisono, attraverso le domande poste e le risposte date. Non soluzioni vere e proprie, ma riflessioni e analisi critiche che possano condurre ad una sintesi arbitraria e personale, per una conclusione a tutela del bene comune di ogni uomo e di tutte le culture, per rispondere a questa sfida alla libertà d’espressione. Tutti insieme si è chiamati e coinvolti a riflettere su atteggiamenti, posizioni da prendere e gesti importanti da fare oggi, tutti indistintamente, sia attori sia fruitori dell’informazione, per garantire la libertà di espressione, nelle sue molteplici forme, pilastro della democrazia e simbolo dell’Occidente. Morcellini sottolinea:”Fare il proprio mestiere. Fare giornalismo. Senza nulla togliere al valore di verità di una notizia.” E’ del 25 febbraio scorso, per esempio, l’editoriale con cui Monica Maggioni, direttore di Rainews 24, ha annunciato e spiegato che Rainews24 e Rainews.it non trasmetteranno più i videopropaganda dell’Isis (la scelta del network italiano è stata fatta per evitare la tecnica jihadista di utilizzare i media occidentali quali cassa di risonanza per la propaganda del terrore, infatti Maggioni ha dichiarato che:”Le notizie saranno comunque trattate – con foto e/o fermo immagine – e raccontate nei loro contenuti, ma senza dare più spazio ai filmati prodotti e diffusi dall’Isis.”).

charlie hebdo 1179 25febbraio2015Non sono mancati suggerimenti per proseguire la serena querelle, visto che il seminario si è svolto: dopo la classifica stilata sulla libertà di stampa di Reporters sans Frontières che fornisce un quadro assai poco lusinghiero per i Paesi dell’Ue, e in particolar modo per l’Italia solo 73ma; all’indomani dell’uscita del numero 1179 di Charlie Hedbo con in copertina la scritta “…C’EST REPARTI!” – dopo un mese e mezzo dall’attacco terroristico alla redazione parigina; e alla notizia che svela l’identità del boia dell’ISIS Jihadi John, il londinese Mohammed Emwazi di origine kuwaitiana. L’eterno dilemma in questi casi si ripropone per ogni responsabile della comunicazione: Bisogna dare la notizia o tacerla?

“E’ una sfida alla libertà tout court. Bisogna avere conoscenza delle cose non nasconderle. Gli integralismi non sono solo religiosi sono anche laici.” afferma deciso Giampiero Gramaglia, Consigliere per la Comunicazione IAI e Direttore Euractiv.it, nel primo intervento della giornata. Ha raccontato, poi, aneddoti sull’invasione dell’Iraq negli anni 2001/2003 e sulla situazione attuale in cui versa il paese e ha continuato:”E’ una guerra tra musulmani più che una guerra tra Islam e Occidente. I dati ci parlano di un rapporto di 1 a 100 delle morti di musulmani rispetto a quelle degli occidentali. Pensiamo invece ad un contesto tutto cristiano come quello in Ucraina”. Ha concluso con una nota sul fatto che “non bisogna tacere o limitare l’informazione, basta non spettacolarizzare, e far capire”.

A questo punto è giunta la precisazione di Paolo Messa, fondazione Formiche:”Affermativo. Per me, Siamo Charlie. La Comunicazione è uno dei luoghi in cui si sta combattendo. In tutto il mondo si stanno svolgendo summit sul terrorismo.”.

Ed ecco l’intervento di Eric Joszef, corrispondente di Liberatìon:”C’è una comunanza tra Liberatìon e Charlie Hebdo. Charlie Hebdo non è un giornale focalizzato sull’Islam, Le Monde ha dimostrato che in dieci anni sono state solo sette le copertine contro l’Islam. Hanno voluto colpire simbolicamente l’entità francese ed europea: la libertà d’informazione.”L’inviato francese ha sciorinato diversi punti di riflessione – sul comico e politico francese Dieudonné M’bala M’bala (12 gennaio la procura di Parigi aveva aperto un’inchiesta per apologia del terrorismo. L’11 gennaio, dopo la manifestazione di Parigi a cui aveva partecipato, Dieudonné ha scritto su Facebook di sentirsi “Charlie Coulibaly”, mettendo insieme il nome del giornale satirico colpito da un attentato e quello di uno dei terroristi, Amedy Coulibaly. Dieudonné era già stato condannato un anno fa per antisemitismo), sugli obiettivi a vantaggio del terrorismo, quale per esempio la radicalizzazione e il razzismo verso i musulmani, sull’uso o meno del termine “Stato Islamico” riferendosi ai terroristi dell’ISIS, sul ’68 dei movimenti e il dopo68’ delle democrazie e delle società stagnanti, sul pensiero dello scrittore Michel Houellebecq nel libro Sottomissione che rimette in discussione tutti i valori europei ed occidentali e l’accessione al potere di un presidente musulmano, sul concetto di laicità europea, sui limiti della caricatura nella satira e l’ironia leggera dei vignettisti. Ha ricordato anche  che “On peut rire de tout, mais pas avec tout. Ovvero Si può ridere di tutto, ma non con tutti”(cit. comico Pierre Desproges). Non ha tralasciato Voltaire e il suo Trattato sulla Tolleranza fino a giungere, per quanto concerne il dare la notizia:“Posso farlo, ma è opportuno farlo? Ne vale la pena?”e ha proseguito con “non bisogna cedere all’autocensura: non c’era una vignetta a Copenaghen ma c’era l’idea di discutere e di dibattere sul tema della libertà d’informazione ”e”i vignettisti si divertono nel fare i disegni: hanno spirito di leggerezza, anima della nostra identità”, ma ha chiuso ricordando che “gli USA sono stati gli unici a non pubblicare le vignette dopo l’attentato in Francia”.

Christian Ruggiero ha dato la parola a Vincino, disegnatore e giornalista:”Mi sento molto figlio di Charlie! La missione della satira è la verità: cercarla costi quel che costi. Rispettandone i limiti. Di fronte alla satira i messaggi e i video dell’ISIS sono rozzi; non bisogna cedere su nulla.”E, sorridente, ha terminato:”I vignettisti sono come i bambini. Di per sé un disegno non fa male, sono le persone e la loro interpretazione che possono far male!”.

relatori e interventiSingolare la puntualizzazione di Paola Spadari, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio:”L’informazione e legata alla satira, infatti si dice importanza della libertà d’informazione e di satira. L’attentato alla redazione francese di Charlie Hebdo ha messo alla prova la tenuta di diversi concetti oltre a quello dell’informazione, quale quello della democrazia che si misura con il grado che ha la libertà dell’informazione.”Ha poi descritto la modalità con cui si è consumato l’attentato:”le vittime sono state chiamate una alla volta per nome e uccise”. Naturalmente ha posto la problematica “fino a che punto su un mezzo massivo si può passare un messaggio come quelli dell’ISIS?”ed ha sostenuto che “serve equilibrio fra offrire il servizio pubblico e usare la deontologia giornalistica”. Ha parlato del premier britannico che ha affrontato il problema dell’ISIS chiedendo agli insegnanti delle scuole di trattare e spiegare agli studenti il fenomeno terroristico. Ha evidenziato che “è compito di chi scrive, di chi presenta garantire il grado di libertà dell’informazione nel proprio paese. Non si arretra su questi valori, su questi capisaldi”.

Subito dopo c’è stata la partecipazione, grazie al collegamento skype, di Fabien Wille, Université Lille 2, e Alessandro Porrovecchio, Université du littoral Côte d’Opale, che ha tradotto l’intervento. Dopo una breve esposizione della vicenda dell’attentato e delle conseguenze positive e negative fine ai giorni nostri, qualche apprezzamento sul nuovo numero e la copertina di Charlie Hebdo, si è espressa la considerazione sul senso da dare alla mobilitazione di massa e al consenso globale e alla responsabilità etica, civile e religiosa oltre all’uso dei media, ai principi e alla gestione della libertà d’informazione e all’onere dell’informatore mediale, alle culture francese, europea e musulmana, all’immigrazione e alla delinquenza, al riposizionamento di tutte le religioni oltre che all’Islam e alla popolazione musulmana in Francia, dettati dal tragico accaduto.

A tal proposito, il coordinatore ha commemorato il caso con il minuto di silenzio, voluto dal Direttore del Dipartimento Mario Morcellini, in occasione dell’inizio dell’anno accademico della facoltà, trasmettendone il filmato.

E’ seguita l’illustrazione dettagliata e precisa di Francesca Rizzuto, dell’Università di Palermo, che ha snocciolato il tema del terrorismo e della comunicazione trattando le fasi delle sue strategie in base alle epoche – da Gutenberg allo spettacolo dell’orrore. “L’adeguamento del fenomeno terroristico agli strumenti occidentali per la propaganda e il reclutamento è stato il risultato di un salto del global terrorismo verso internet e i social media dopo l’attentato dell’11 settembre 2001 agli USA. L’attentato alla Francia del 7 gennaio 2015, rappresenta la fase che stiamo vivendo, in cui i terroristi dominano il contenuto del messaggio – componenti simbolici, impatto emotivo, centralità e importanza dell’azione – e ne sono producers con l’obiettivo di una propaganda planetaria. Perché la Francia? E’ il Paese in cui è nato il Cittadino, la Libertà di Espressione. L’attacco a Charlie ci spinge a reagire, a continuare a farlo, e mi ricorda una citazione: Il sangue è ancora rosso” ha detto Rizzuto e ha proseguito con rilevanti note su “Ruolo e responsabilità della stampa: ci basta essere spettatori? E’ il momento di fare un passo avanti e diventare attori: dopo aver preso visione e compreso si deve passare all’azione. Per questo la chiave di svolta indispensabile è l’assunzione di responsabilità del giornalista.”.

Con Andrea Spreafico, Università Roma 3, si è definito un quadro dei possibili fattori esplicativi degli attentati di Parigi e Copenaghen, toccando problemi quali “la disoccupazione di massa e quello dell’integrazione legato al sistema scolastico non adatto e alla perdita del valore dell’istruzione raggiunto. La stessa cosa vale anche per i quartieri etnicamente poveri, veri e propri ghetti che rappresentano un’esclusione spaziale”. Poi il docente ha indicato quali sono altri “connotati invalidanti di discriminazione: vivere in periferia per i giovani musulmani porta ad un isolamento sia politico sia sociale; rifiuto della comunità religiosa nei giovani radicalizzati e aspetto dell’Islam; carceri e il loro ruolo (decisivo per la fase di reclutamento e addestramento del terrorismo); aspettative occidentali non realizzabili.”

Per ultimo, dal palco, ha incominciato il suo intervento, con l’ausilio di video – tra cui uno molto divertente – Zouhir Louassini, di RaiNews. Il primo video riguardava “I numeri dell’invasione islamica” trasmesso dalla trasmissione di La7 La Gabbia, fonte Il Tempo. Il giornalista, ha fatto presente che “sono di cultura musulmana, ma sono ateo” e ha detto che cerca di far capire “sia al mondo che sta di qua sia a quello che sta di la che non si deve creare un solco fra le due culture”. Poi ha affermato che “molte volte si fa informazione senza essere informati e senza controllare le fonti rischiando di dare messaggi sbagliati che tra l’altro si omette di correggere”. E non si pensa alle conseguenze spesso e volentieri deleterie per chi recepisce il messaggio:“In Italia c’è purtroppo una superficialità nel trattare la fonte e dare la notizia. Dal 2005 si fa un allarmismo inutile”. Ha continuato con delle regole di scrittura per il buon giornalista, sostenendo, poi, che “altro errore è quello di considerare l’imam come il nostro vescovo o come il prete. L’imam è solo una persona che in un gruppo di tante altre conosce meglio il corano, non conta nulla, non ha poteri.” E ancora ha proposto la visione delle trasmissioni delle tv dei paesi mediorientali, guardare “i media e i prodotti audiovisivi di quelle realtà dirette alle loro popolazioni per rendersi conto del divario che c’è invece con i video e i messaggi dell’ISIS, usati dai media solo per comunicare all’Occidente. Questo deve far riflettere.”Seguono altre precisazioni sull’Isis:”Altri gruppi estremisti hanno un obiettivo politico mentre l’Isis ha il solo obiettivo della violenza”. Quindi termina con la trasmissione di un videoparodia dell’ISIS con messaggio per il Presidente Obama e decapitazione: il boia nero e incappucciato ha accanto e in ginocchio l’ostaggio da decapitare, nella sua tuta arancione, ma durante la registrazione del filmato fa diverse gaffe tra cui quella della pronuncia scorretta in inglese di una parola e altre gag esilaranti fino a giungere alla morte del poveretto e accorgersi con il regista di non aver registrato nulla. La platea rilassata ha riso e sorriso e ha ascoltato divertita il consiglio di Louassini di trovare su internet e MemriTv video e parodie per comprendere e bilanciare, dare il giusto peso alle notizie che si trasmettono.

Naturalmente, prima dei saluti di commiato e di ringraziamento da parte del Direttore del Dipartimento Mario Morcellini, ci sono state le domande dal pubblico che hanno confermato l’interesse e la disponibilità dei partecipanti e degli intervenuti fra cui quella di Paolo Petrecca, di RaiNews, che ha precisato la scelta etica della decisione di non trasmettere i videopropaganda dell’ISIS:”E’ giusto mandare in onda quella barbaria?”; Bruno Socillo, ex Direttore GR Rai:”Non mi sento Charlie se questo vuol dire condividere la politica editoriale della rivista satirica francese, che ha attaccato anche la religione cattolica ed il Papa”; un antropologo che ha confermato l’importanza dell’accettazione delle differenze per comunicare e dialogare fra le culture; un freelance, che ha cercato di portare il filo del seminario verso altre tematiche più complottistiche, e un ricercatore, Marco Bruno, che rammaricato del fatto che non succeda la stessa cosa per tutte le vittime del terrorismo, ha ribadito di “essere Charlie nella misura in cui ciò serva a rafforzare l’idea e l’identità europea descritta durante il dibattito”. Dal palco ha ribattuto, prima, Louassini, di RaiNews:“Certo che sbagliamo. L’importante è riconoscerlo e fare il mestiere di giornalista con onestà. Nei complotti, se ci sono, non possiamo cambiare nulla. Ma possiamo fare attenzione alle parole.” Finisce con:“L’ideologia fanatica dell’Islam esiste: prima c’era Al Qaeda, adesso c’è l’Isis, domani ci sarà qualcosa di peggio (magari legato anche ad interessi economici e al petrolio). Ed è quello che dobbiamo combattere, quell’ideologia, nel modo che sappiamo fare: facendo domande”. Dopo è intervenuto Eric Joszef, corrispondente di Liberatìon:”Il mestiere del giornalista è quello di rimettere in discussione e fare il lavoro, altrimenti le parole diventano propaganda non giornalismo”. Andrea Spreafico, Università Roma 3, ha invece evidenziato quanto siano importanti “le interazioni sociali fra culture”.

La fine dei lavori ha visto le osservazioni di Morcellini legate ad “un’esortazione al cambiamento del giornalismo italiano, affinché nei casi di emergenza e di crisi, possa soddisfare l’interesse pubblico – che vede aumentare le sue aspettative e la sua credulità.” Ha ultimato con:” Il giornalismo italiano fa fatica a passare dalla narrazione alla spiegazione, deve cambiare postura.”

Incontro completato. Appuntamento del dibattito concluso. Alla fine della giornata, tematiche trattate e disquisizioni avvenute sembrano condurre alla vita e ai racconti di un certo Ryszard Kapuściński, scrittore e giornalista polacco. Le sue idee, la sua etica, la sua professionalità sembrano quasi legate a doppio filo alle quattro ore di seminario. Sono sue le parole, quasi una risposta, con cui afferma:“Credo che per fare del buon giornalismo si debba innanzitutto essere degli uomini buoni. I cattivi non possono essere buoni giornalisti. Solo l’uomo buono cerca di comprendere gli altri, le loro intenzioni, la loro fede, i loro interessi e le loro tragedie. E di diventare subito, fin dal primo momento, una parte del loro destino.”(Ismaeli continua a navigare, Ryszard Kapuściński parla con Maria Nadotti, in Ryszard Kapuściński, Il cinico non è adatto a questo mestiere. Conversazioni sul buon giornalismo, a cura di Maria Nadotti, Roma 2002). E’ stata eseguita un’analisi dell’integrità della notizia e del mestiere del giornalista, sono state fatte riflessioni sulla libertà di espressione, di stampa e sono state proposte rivalutazioni per la centralità della comunicazione ed è stato necessario riavviare la prospettiva del dialogo fra le culture. Ed ecco la conclusione di Kapuściński:“Il più delle volte definirei la mia professione come quella di un traduttore. Traduttore non da una lingua all’altra, ma da una cultura a un’altra. Già nel 1912 Bronislaw Malinowski osservava che il mondo della cultura non è un mondo gerarchico (cosa che all’epoca suonava blasfema per i fautori dell’eurocentrismo), che non esistevano culture alte e culture basse, che erano tutte ugualmente valide ma solo diverse. Ciò è tanto più vero oggi, nel nostro mondo multiculturale così differenziato, ma nel quale le singole culture sono sempre più strettamente legate e mescolate tra loro. L’importante sarebbe fare in modo che tra le culture si creassero rapporti non di dipendenza e subordinazione, ma di intesa e collaborazione. Solo così può esserci una speranza che, nella nostra famiglia umana, l’intesa e la benevolenza prendano il sopravvento sulle ostilità e i conflitti. Anch’io, nel mio piccolo, vorrei contribuirvi, ed è questa la ragione per cui scrivo.”(Perché scrivo?, lezione di Ryszard Kapuściński, riportata in “Gazeta Universytecka”, 1972, n. 2). Resta comunque sospeso, come una bolla di sapone che fluttua nello spazio, il dilemma affrontato dal giornalista: confine che divide l’impegno personale dalla pura e semplice cronaca. Come comportarsi? Alla fine forse potrebbe essere utile l’obiettività assoluta secondo la nostra coscienza, il nostro senso della cultura, del buongusto, e tutto tassativamente all’ombra delle norme di legge. Ed eccolo ancora il giornalista polacco: “La facoltà di scegliere tra compiere o non compiere una data azione, come anche la facoltà di scegliere tra possibili condotte diverse per raggiungere lo stesso risultato, è da noi comunemente considerata carattere essenziale e costitutivo della ‘libertà’.“Perché sono scrittore? Perché tante volte ho rischiato la vita e sono stato ad un passo dalla morte? Per dimostrare l’esistenza del fato? Per guadagnarmi lo stipendio? Il mio lavoro è una vocazione, una missione. Non mi sarei esposto a rischi del genere se non avessi sentito che si trattava di qualcosa che riguardava la storia e noi stessi, qualcosa di talmente importante da costringermi ad affrontarli. Questo è qualcosa di più del giornalismo. (Il viaggiatore nella selva delle cose, Ryszard Kapuściński parla con Bill Buford, in “Granta – The Story Teller”, 1987, n. 21). “La missione è qualcosa i cui frutti esulano dalla nostra persona. Non lo si fa solo per comprarsi la macchina o comprarsi la villa. Lo si fa per gli altri. (Ossia per la convinzione che esista un bene comune…) Il senso del bene comune esiste senz’altro in ogni società ed è un dovere fondamentale, anche se non si tratta mai di un sentimento di massa. Esiste tuttavia un certo numero di persone dotate di una specie di grazia – per usare il linguaggio della religione – o del dono di fare qualcosa al di fuori della loro vita particolare.” (Professione: giornalista, Ryszard Kapuściński parla con Katarzyna Janowska e Piotr Mucharski, in “Tygodnik Powszechny”, 2001, n. 22).

Ma ammicca un contraltare. Di converso alla domanda “Come mai ha scelto la scrittura? Mi piacerebbe capire cos’ha rappresentato la scrittura, cosa rappresenta ancora?” fatta ad una certa Oriana Fallaci, giornalista e scrittrice italiana, lei risponde cruda:”Se tu me lo avessi chiesto quando avevo trent’anni ti avrei detto che l’avevo scelta perché rimane e non vola via come la parola detta. Punto. Perché è uno strumento che ci dà la sicurezza di non essere fraintesi. Ero piena di convinzioni e di opinioni, allora – come adesso d’altra parte – ma a quel tempo ero convinta di scrivere perché il mondo doveva conoscerle. Invece devo ammettere che è la storia dell’immortalità a vincere su tutte. (…) Inutile negarlo: abbiamo bisogno di sapere che lasceremo qualcosa. Non ce ne frega un tubo se gli altri saranno d’accordo o se ci criticheranno, l’importante è che riusciamo a scorticare una parte di noi per regalarla all’eternità. In quest’ottica la scrittura è più soddisfacente di un figlio. Solo in quest’ottica morbosa ma irrimediabilmente umana, però. Perché un figlio primo o poi muore, la sua stirpe pure, le discendenze si diluiscono sempre di più con le generazioni. Ciò che scrivi, invece, è immutabile, permanente. La scrittura ti dà la certezza che la tua impronta rimanga. (…) Si scrive per egoismo.“(I miei giorni con Oriana Fallaci, Elena Attala Perazzini, 2015, pagg. 81-82). Per quanto concerne il suo pensiero e le sue idee, sono cosa nota a tutti.

Dunque, ‘Siamo tutti Charlie?‘ o ‘Siamo tutti Charlie‘?

 

online audio seminario del 26 febbraio 2015 sito di RadioSapienza alla pagina http://www.radiosapienza.net/2013/news/dalla-sapienza/2037-bejour-incontro-di-venerdi-7-novembre.html

Il video dell’editoriale di Monica Maggioni direttore Rainews24 del 25 febbraio 2015 https://www.youtube.com/watch?v=OKdnfBTykgk

Sito comico francese Pierre Desproges http://www.desproges.fr/

Sito MEMRITV http://www.memritv.org/

Sito video parodia decapitazione e massaggio per il Presidente Obama http://www.iltempo.it/esteri/2015/02/23/il-video-dissacrante-che-combatte-l-isis-a-colpi-di-satira-1.1381944

 

 

Maria Anna Chimenti

 

Maria Anna Chimenti

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