Potranno mai, palestinesi e israeliani, vivere in pace sulla stessa terra? Cosa fomenta l’odio viscerale degli uni contro gli altri? Un’ ampio saggio di Ernesto Marzano, “Israele- Il killer che piange” (Roma, Aracne editrice, 2015, pp. 207, e. 14,00), economista con una lunga esperienza di dirigente delle Partecipazioni Statali e di aziende private, fa il punto sulle principali questioni, storiche, geopolitiche e ideologiche, alla base della guerra che nell’area mediorientale è in atto, in modo intermittente (e, proprio per questo, piu’ logorante), con piu’ fiammate belliche, dal 1948. Guerre sudole, dagli imprevedibili sviluppi; giunte, a volte, a far quasi da possibile detonatore di nuovi conflitti mondiali. Cui si son aggiunte le due grandi rivolte di massa palestinesi: l’ “Intifada” del 1987, per il ventennale della Guerra dei Sei giorni, e quella del 2000, seguìta al fallimento delle nuove trattative di pace israelo-palestinesi a Camp David,
e, per certi aspetti, mai veramente terminata.
Marzano affronta questioni come il sionismo (nel contesto generale dei movimenti di Risorgimento nazionale dell’ Otto-Novecento) e la seconda guerra mondiale, col genocidio degli ebrei, la nascita dello Stato d’Israele e la cacciata in massa dei residenti palestinesi. La guerra del ’67, che nei Paesi arabi sconfitti, l’Egitto in particolare, innesco’ tra gli arabi un trauma psicologico di massa, con effetti involutivi in campo politico-sociale, religioso e psicologico, paragonabile veramente a quelli già subìti da Francia e Germania nelle rispettive, cocenti sconfitte del 1870 e del 1918. Con stile simpaticamente provocatorio e scanzonato, contestando parecchi luoghi comuni e verità piu’ o meno “consacrate” e ufficiali, Marzano scandaglia la storia e la cultura ebraica, partendo dalle pagine della Bibbia. Ed evidenzia – sulle orme anche d’un ebreo fortemente critico dell’ ebraismo stesso, il francese Bernard Lazare – quegli aspetti di serrata nazionalistica e religioso-culturale, introversione e chiusura “a riccio”, negli stretti confini della propria identità e integrità etnico-religiosa, che, dal Medioevo in poi, spesso hanno offuscato i tanti lati positivi dello spirito ebraico ( come il cosmopolitismo, il forte senso pratico-economico, la spinta all’anticonformismo e all’innovazione: tipici di quegli ebrei che piu’ han contribuito al progresso civile e spirituale dell’umanità, da Spinoza a Freud, da Marx stesso a Kafka, da Moses Mendelssohn ad Albert Einstein).
Le critiche di Marzano all’ ebraismo – nate anche da precise esperienze personali – sono forti: tuttavia egli chiarisce sin dall’inizio che il suo è semplicemente un desiderio di tendere la mano, parlare e ragionare con i fratelli ebrei, perchè possano rendersi conto degli errori che, come tutti i mortali, anche essi possono commettere. Non a caso, egli non manca di dar voce , nel testo, anche ai movimenti pacifisti e nonviolenti israeliani (Tayush, Bet’Selem, e la quasi scomparsa Peace now): che – un po’ come , “mutatis mutandis”, i loro omologhi statunitensi – hanno tutt’un’altra idea del proprio Paese e della propria cultura, e che Marzano ha avuto modo di conoscere personalmente a Gerusalemme e in varie zone dei Territori occupati.Mentre ricorda con commozone Ytzhak Rabin: il premier laburista israeliano, barbaramente ucciso, proprio vent’anni fa, da un estremista, che, sviluppando con coerenza la politica degli accordi di Oslo e di Washington con l’OLP (1992- ’93), voleva fare di Israele una forte potenza di pace.
Il libro sarà presentato al pubblico a Roma, martedì 13 ottobre, alle 17 alla Fondazione “Einaudi” in Largo dei Fiorentini 1: con la partecipazione di Walter D’Amari, giornalista del “Corriere della Sera”, Mario Canino, già docente universitario e nei Licei ( con un passato di dirigente nell’ MPL di Livio Labor e nell’ FLM, come dirigente di area lombardiana ). Saranno presenti l’Autore e Gioacchino Onorati, presidente di Aracne editrice.
di Fabrizio Federici