«Il capitolo “dell’information and communication technology” sui territori, fornisce, oggi giorno, una possibile risposta nei termini di approccio sostenibile che, avendo come obiettivo la realizzazione di un circolo virtuoso tra ambiente, società, economia e territorio, arriva ad una integrazione di questi aspetti secondo una visione sistemico-qualitativa interdisciplinare.
Queste sono le tematiche attuali della governance territoriale per attuare sviluppo sostenibile e buona prassi .Non basta parlare di nuovi tempi ma necessitano nuovi spazi dell’esperienza, nuove figure sociali -vedi terziario avanzato- come non si può pensare alle questioni dell’inquinamento se non ci sono proposte concrete di decongestionamento. Le nuove dinamiche territoriali riguardano temi che vanno dalla ICT alla coesione territoriale; dalle Regioni a basso sviluppo all’ Intellectual Property Rights; dalle Mega città alla città connessa e ai sistemi locali. Insomma Ambiente, Società, Economia, Territorio e Globalizzazione dal basso.
Più che una realtà, l’economia globale è un modello, un progetto. Collegata ad istanze sociali e politiche ispirate all’idea che tutto il mondo debba essere governato allo stesso modo, il modello diventa ideologia che viene comunemente definita mundialismo che nella sua prospettiva uniformante, si legittima per la sua capacità di gestire diversità, reali o fittizie. Le identità locali non sono quindi di ostacolo all’affermazione dell’economia globale ecco perché la fabbrica era percepita come agente di sviluppo mentre il sindacato era riconosciuto come attore strategico nelle dinamiche produttive e nel rapporto con la comunità locale. Basti pensare al modello Olivetti a cui si sono ispirati diversi villaggi operai, autentiche città-fabbrica, che attingevano manodopera a basso costo dalle campagne limitrofe e, in un secondo momento, all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) dove fiorirono scuole per la formazione di operatori di comunità che promuovevano sviluppo locale delle aree rurali.
Il criterio dell’assistenza, sociale e finanziaria, subentrato in questi anni ha favorito la stabilità e i profitti della classe politica che ne ha beneficato a discapito dell’assuefazione delle masse rispetto alle disfunzioni di un’economia che si fa sempre più sbilanciata ed iniqua. Al concetto di settore subentra quello di filiera, intesa come ambito sistemico in cui non c’è omogeneità tecnologica tra le diverse fasi del ciclo produttivo ma il principio unificante è dato dal prodotto finale trasformato. Da una semplice successione temporale di fasi per la realizzazione di uno stesso bene, la filiera ha finito per identificare una relazione spaziale tra imprese localizzate in Paesi diversi ma interdipendenti, o perché integrate da compartecipazioni di capitale o perché legate da accordi di natura commerciale e produttiva (es. franchising, licensing, assembly, joint venture, contract manufacturing).
In precedenza, nel passaggio dai poli industriali alle economie diffuse, lo sviluppo procedeva in base a contiguità spaziali in cui i fattori locali diventavano le economie per condivisione di risorse situate nello stesso territorio. Oggi le cose sono cambiate. Pur partendo da una dimensione locale, le imprese devono misurarsi con i mercati più ampi e con contesti sociali diversi e lontani, alla ricerca di complementarità che si trovano altrove. Si parla di Reti territoriali come sistema di relazioni tra i diversi livelli locali imponendosi e come reti mercantili, prodotte dalla ricerca di soluzioni globali ai problemi del conflitto competitivo. La globalizzazione ridisegna lo spazio-tempo di azione dei territori e delle periferie, dunque.
Possiamo, da artefici del nostro destino, dare vita allo sviluppo sostenibile aperto alla contaminazione e competizione internazionale basandolo sulla valorizzazione delle risorse di una comunità naturale o invece cedere la nostra terra, con i suoi saperi, all’economia globale lasciando al mercato il compito di ridefinire i valori dell’ inclusione o dell’ emarginazione di intere popolazioni. Nel confine tra queste opzioni agiscono gli agenti di sviluppo, termine che, a partire dalla diffusione dei distretti industriali, identifica molteplici figure con compiti territoriali precisi. Tra vecchie e nuove intermediazioni il destino dei nostri territori rimane proteso tra la ricerca di nuove complementarità e l’accrescimento delle capacità di progettare e gestire autonomamente sviluppo. Il localismo ed il federalismo possono, così, diventare temi rivoluzionari solo se collegati ad un ideale di giustizia e lotta contro lo sfruttamento del genere umano.
La nostra Rete, che da anni lavora ad un Modello Sistema ciociaro esportabile, si sente vicina ai 532 giovani lavoratori interinali della Fiat rimasti a casa in questi giorni e che invece, su adeguate basi di sviluppo locale e di reali capacità tra amministratori e rappresentanti politici locali, avrebbero potuto sviluppare alte progettualità visionarie e di investimento. Vogliamo ancora sperare di essere in tempo, per tutti noi».
Giuseppina Bonaviri