Guardano il mondo con occhi disincantati che pur anelano ad attese spesso pervase da un sottile velo di ironia le opere di Pietro Cesare Saloni. A Ladispoli, dove oggi l’artista risiede, l’incontro con lui ci permette di entrare a diretto contatto con la sua carriera pittorica. È una realtà, quella che emerge dai suoi dipinti, vissuta e immaginata, possibile e ideale. Le opere di Saloni conducono sulla strada della memoria che tutto rende interminabile, della dimensione onirica che oltrepassa le barriere del tangibile, dei desideri che trovano concretezza attraverso l’arte.
Classe 1934, nato a Macerata, da padre toscano e madre marchigiana, come lui stesso ci spiega, ai disegni affida sin da giovanissimo la propria espressività. Il viaggio è sicuramente uno degli elementi che caratterizzano la sua vita, a partire dall’adolescenza, così come testimoniano quei continui riferimenti presenti nelle sue opere. Delle epoche che ha percorso nella sua vita, storiche e artistiche, Saloni ha fatto un bagaglio di conoscenze che si è unito a quello culturale. Tra i soggiorni di cui ci parla, quello del 1963, anno in cui si trasferisce a Milano, dove prosegue la sua attività di grafico e disegnatore umoristico per periodici fino al ritorno nella capitale nel 1967 dove viene a diretto contatto con il clima artistico degli anni, proseguendo il suo individuale percorso pittorico e dove realizza, nel corso degli anni diverse mostre.
Sono viaggi che non prevedono l’incedere del tempo quelli che si aprono nelle opere di Saloni, nonostante di fronte ad ogni tela ci sembri impossibile non avvertire lo scorrere incessante delle lancette di un orologio. I soggetti, molto spesso ludici protagonisti che si sostituiscono ai modelli reali, sono al tempo stesso oggetto e artefici del reiterarsi del gioco della vita. È il loro sguardo, solo apparentemente assente, ad indicarci la natura effimera di ciò che è materiale.
Numerosi i riferimenti alla storia dell’arte e alla letteratura che si affiancano a frequenti rimandi simbolici che sottendono profonde riflessioni sulle contraddizioni dell’esistenza, ma anche sui suoi punti fermi e sulle sue possibilità. Le maschere, gli aquiloni, le parole si sovrappongono ai significati che in queste opere si susseguono per dar vita a quelle favole di colore e forme in cui l’essere umano diviene un elemento di passaggio in un mondo che conserva la sua vera e solida natura.
Il silenzio non è mai indice di un’interruzione definitiva, suggerisce invece un’attesa, il ritorno, una presenza non visibile. È la tela che prevede l’ingresso dei suoi personaggi in quelle novelle che raccontano un tempo della fantasia, quello in cui la giovinezza lascia spazio alla maturità. È l’incontro della realtà con l’immaginazione che viaggia su treni che percorrono cieli nei quali è sempre presente il sole. Di carta, sorridente, ironico, spesso solo attento osservatore di un mondo immerso in un silenzio apparente in cui vivono manichini e bambole il cui sguardo è rivolto verso un tempo infinito. Quello del gioco, dell’arte, della vita.