Non è possibile recare sulla maglia con su scritto: “Diritti umani per tutti”. È stato negato alla nazionale di calcio danese che parteciperà alle competizioni mondiali che tra due settimane avranno inizio in Qatar. È stata la FIFA a imporre questo divieto. La federazione mondiale che governa questo sport osserva evidentemente molta attenzione affinché il danaroso paese ospite non possa risentirsi dalla frase che potrebbe suonare come un affronto.
Ma si tratta di mero vassallaggio a chi ha il potere di esercitare il controllo economico dell’evento e del futuro del calcio mondiale, perché la frase si muove come un asserto incondizionato che si pone come regola universale. Non si riferisce esplicitamente ad alcuno stato o condizione specifica.
La restrizione appare tanto più ingiustificabile perché la scritta appariva sulle divise da allenamento. Ufficialmente la FIFA non ha dato spiegazioni. “Abbiamo ricevuto un messaggio in cui la FIFA ci ha comunicato di aver respinto la nostra richiesta per motivi tecnici, il che è deplorevole”. È la Federazione calcistica danese l’unica a dare informazioni circa questo incidente diplomatico con un gruppo sportivo che costituisce pur sempre un elemento dell’evento.
La nazionale danese, d’altra parte, aveva già detto che avrebbe inscenato proteste. I diritti umani sono al centro delle attenzioni di tutti i team sportivi che dal 20 novembre al 18 dicembre daranno vita alla più grande kermesse sportiva del mondo. Molte perplessità erano serpeggiate su questo evento organizzato in un paese senza tradizioni calcistiche. Ma la risposta era che nelle prospettive della FIFA c’è quello di diffondere costantemente la pratica di questo sport.
La Danimarca per sottolineare la sua posizioni di attenzione al problema dei diritti umani, già da settembre, aveva annunciato la protesta. La modalità scelta consisteva in divise monocolore. I dettagli appena visibili. La scelta polemica si sosteneva per il fatto di non voler apparire in un torneo che per essere messo in piedi ha comportato la morte di migliaia di persone. L’obiezione forte quindi è al Qatar. Ma dire questo significa obiettare anche su coloro che hanno scelto questo paese come sede dei Mondiali. E nel contesto sportivo esiste un’amministrazione della giustizia che come stilema somiglia assai più all’irriducibilità dei paesi arabi e assai meno il sistema di garanzie caratteristico dei regimi liberali dell’Occidente.