La scomparsa di Emanuela Orlandi, avvenuta il 22 giugno 1983, continua a sollevare interrogativi e nuove ipotesi, anche a distanza di oltre quarant’anni. Recentemente, una testimonianza ha messo in discussione la ricostruzione tradizionale degli eventi, suggerendo che Emanuela potrebbe non essere mai arrivata alla fermata dell’autobus in Corso Rinascimento, come precedentemente ritenuto.
La ricostruzione tradizionale
Secondo la versione consolidata, Emanuela, dopo aver terminato le lezioni presso l’Accademia di Musica Tommaso Ludovico da Victoria in Piazza Sant’Apollinare, avrebbe raggiunto la fermata dell’autobus 70 in Corso Rinascimento insieme alle compagne Raffaella Monzi e Maria Grazia Casini. Qui, avrebbe discusso con loro di una proposta di lavoro ricevuta poco prima. Le due amiche sarebbero poi salite su un autobus, mentre Emanuela sarebbe rimasta alla fermata, forse perché l’autobus era troppo affollato o per attendere l’uomo che le aveva offerto il lavoro. Da quel momento, si sarebbero perse le sue tracce.
La nuova testimonianza
Una diversa versione emerge dalla testimonianza di un’altra compagna di corso, Laura Casagrande. Secondo Laura, Emanuela avrebbe percorso solo una parte di Corso Rinascimento, mantenendosi a una ventina di metri di distanza. Arrivata quasi alla fine del corso, Laura si sarebbe voltata e non avrebbe più visto Emanuela dietro di sé. Questa testimonianza suggerisce che Emanuela potrebbe non aver mai raggiunto la fermata dell’autobus in Corso Rinascimento. Il nodo dei racconti contraddittori (se non reticenti) delle amiche e compagne della scuola di musica viene prepotentemente a galla. È sulla ricostruzione di quanto avvenuto alla fine delle lezioni a Sant’Apollinare (attorno alle 19) nel pomeriggio del 22 giugno 1983 che si sta concentrando la commissione parlamentare d’inchiesta.
Sabrina Calitti, allieva assieme a Emanuela del corso di flauto a Sant’Apollinare: una deposizione importante, la sua, perché anche a lei, come a Raffaella Monzi, Emanuela raccontò di aver ricevuto una strana proposta di lavoro per la casa di cosmetici Avon, e per un dettaglio finora sottovalutato: «Io alla fermata del bus non la vidi», disse Calitti alla Digos, in un verbale secretato, un mese dopo la scomparsa della «ragazza con la fascetta». Versione in contrasto con quella della superteste Raffaella Monzi, che tra l’altro dalla vicenda-Orlandi ha avuto la vita stravolta, non essendosi mai più completamente ripresa dallo choc.
Ma leggiamo, parola per parola, la dichiarazione resa all’epoca da Calitti e finora rimasta sottotraccia: «L’ultima occasione in cui ho visto Emanuela – pose a verbale Sabrina con la Digos il 29 luglio 1983 – è stato quando ci siamo salutate sul portone di scuola. Perché poco dopo, passando davanti alla fermata dei mezzi pubblici in corso Rinascimento, ubicata poco prima del Senato, ho visto che vi erano alcune ragazze della scuola di musica che conosco di vista, ma non ho notato Emanuela». Il poliziotto verbalizzante intuì la rilevanza della frase (e forse anche la discrepanza con altre testimonianze) e chiese: signorina, è certa di ricordare bene? «Sì – la risposta – di questo sono sicura».
Cambia la scena, insomma. L’altra compagna, Raffaella Monzi, riferì infatti di essere uscita con Emanuela dall’istituto Ludovico da Victoria e di aver camminato a fianco a lei verso la fermata del bus, in corso Rinascimento, prima del palazzo del Senato. Durante quel tragitto Emanuela le avrebbe confidato l’offerta di lavoro e poi, arrivato alla fermata del bus, Raffaella sarebbe salita ed Emanuela no. Ecco le parole precise dal verbale Monzi del 28 luglio 1983: «Ho visto la ragazza il 22/6/1983 durante la lezione di canto corale e poi siamo uscite insieme. Ricordo che Emanuela corse per le scale mentre io mi trattenni a parlare con altri compagni. Ritrovai poi Emanuela vicino alla sede de “Il popolo” e parlammo un po’. La ragazza mi disse (avendo visto giungere l’autobus 26) ‘che faccio, lo prendo o no?’, in riferimento al fatto che avrebbe potuto percorrere solo una fermata per andare a prendere poi l’autobus 64. Io gli risposi: “Fai un po’ te”...» Al contrario della scena vista da Sabrina, dunque, in questo caso la futura scomparsa alla fermata c’era.
Implicazioni della nuova testimonianza
Come andò quel pomeriggio? Chi mente o ricorda male? Quasi 42 anni dopo, incredibilmente, la ricostruzione degli ultimi minuti «pubblici» di Emanuela Orlandi torna centrale, assieme a dubbi su eventuali coperture o pressioni subite dalle amiche da parte dei rapitori. «Una matassa che sembra sempre più intricata, ma che in realtà potrebbe velocemente sbrogliarsi se a qualcuno dei testimoni sovvenisse un ritorno di memoria», è la valutazione che filtra da Palazzo San Macuto. Con un dubbio che aleggia: è proprio sicuro che Emanuela a quell’ora uscì da Sant’Apollinare? Non potrebbe essere rimasta all’interno, come in passato ventilato, durante l’inchiesta del pm Capaldo archiviata nel 2015?
Se la versione di Laura Casagrande fosse accurata, si aprirebbero nuove domande sulla sequenza degli eventi e sul luogo esatto della scomparsa di Emanuela. Potrebbe significare che l’incontro con l’uomo che le offrì il lavoro sia avvenuto altrove o che Emanuela abbia preso una direzione diversa da quella finora ipotizzata. Questa discrepanza evidenzia le difficoltà nel ricostruire con precisione i movimenti di Emanuela quel giorno e sottolinea la necessità di riesaminare le testimonianze per fare luce su uno dei casi irrisolti più noti della cronaca italiana