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Hilma af Klimt: La profetessa invisibile che dipinse l’alba del futuro tra spiriti e atomi

Robert Von Sachsen Bellony by Robert Von Sachsen Bellony
5 Giugno 2025
in arte, Attualità
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Hilma af Klimt: La profetessa invisibile che dipinse l’alba del futuro tra spiriti e atomi
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Nell’oscurità elettrica del XX secolo, mentre Freud svelava i misteri dell’inconscio e Einstein smontava le illusioni del tempo, una donna svedese vestita di nero dialogava con i morti e dipingeva l’infinito.

Hilma af Klimt non firmava mai le sue opere: le sigillava in robuste casse di legno con un’istruzione precisa e ambigua, un messaggio nascosto: «Aprire solo vent’anni dopo la mia morte, quando il mondo sarà pronto». Un’epoca prosperava sotto il segno del cubismo e del futurismo, ma non era ancora abbastanza aperta a comprendere la portata delle sue visioni. Oggi, nelle sue tele criptiche, come codici quantistici, leggiamo una mappa di un’apocalisse gentile, il diario segreto di un’era capace di andare oltre il visibile.
Nata nel 1862 a Stoccolma, Hilma af Klimt fu una botanica fallita, una medium consacrata, una matematica del trascendente. Le sue prime opere raffiguravano piante con una precisione darwiniana, ma già nei tratti si intravedeva un’inquietudine: petali che pulsavano come circuiti, steli che si torcevano in equazioni non euclidee. Nel 1896, insieme a quattro compagne, fondò De Fem (“Le Cinque”), un gruppo che si interrogava attraverso sedute spiritiche settimanali. Le sue tele divennero trascrizioni di messaggi dall’aldilà: linee a spirale catturavano le “alte frequenze” dell’altro mondo, cerchi concentrici parevano onde radio ante litteram, molto prima che Marconi inventasse il telefono senza fili.
Ma fu nel 1906 che, mentre Kandinsky teorizzava l’astratto e Klimt (senza alcuna parentela) dorava il Secessionismo, Hilma scomparve in un bunker creativo. Per nove anni, nel segreto più assoluto, dipinse I Dipinti per il Tempio: 193 opere monumentali, frutto di una sintesi tra DNA visivo, simboli alchemici e diagrammi di fisica occulta. «Le ricevo dagli spiriti guida», annotò in un diario scritto in codice, «sono mappe per l’evoluzione umana». Tra queste, Il Gruppo X N. 1, Altare sembra un acceleratore di particelle ante litteram: sfere dorate orbitano in campi magnetici, ellissi nere divorano lo spazio-tempo. Ogni quadro un esperimento metafisico, molto prima di Pollock e dei suoi primissimi barattoli di vernice.
Perché, nel 2025, queste tele continuano a disturbare? Non solo per la loro preveggenza stilistica, ma per l’intenso codice che le anima. Hilma lavorava con un alfabeto esoterico:
– Il giallo rappresentava l’energia cosmica, calcoli di luce pronti a deflagrare in bombe atomiche.
– Il blu oltremare mappava i campi morfogenetici, decenni prima che Sheldrake li teorizzasse.
– Le spirali inverse erano equazioni per viaggi nel tempo, anticipando i wormhole di Einstein-Rosen.
Ogni tela era un’equazione vivente, un esperimento metafisico condotto con rigorosa disciplina da un laboratorio invisibile. Quando, nel 1944, morì — nello stesso anno in cui Fermi annunciava la prima pila atomica — le sue opere rimasero sepolte come capsule temporali. Solo negli anni ’80 il mondo iniziò a riscoprirle, già contaminato dalla catastrofe di Chernobyl e dalle guerre stellari: scelse in esse il suo destino, tradotto in iconografia sacra.
Perché il sistema dell’arte ha cancellato Hilma? La risposta brucia come plutonio: perché infranse tutte le regole.
Donna, in un mondo dominato da galleristi e critici maschi. Spiritista, in un’età di razionalismo sdegnato.
Astratta, ancor prima che esistesse l’astrattismo. Profeta, in un’epoca che preferiva miti laici e razionali.
I suoi quadri, talvolta considerati come messaggi extraterrestri, minacciavano il racconto lineare del modernismo. Anche il MoMA, che nel 2018 le dedicò una retrospettiva epocale, ebbe difficoltà a decifrarne il lessico: le didascalie parvero traduzioni approssimate dal sanscrito quantico.
Algoritmi di machine learning sono stati applicati per esaminare forme e colori, alla ricerca di corrispondenze con dati scientifici. Il risultato ha lasciato sbigottiti i ricercatori:
– Le proporzioni nelle Composizioni Duali riproducevano esattamente la struttura del grafene, scoperto nel 2004.
– Gli schemi cromatici di Evoluzione corrispondevano alle mappe epigenetiche del DNA umano.
– Il Triangolo Primordiale (1915) conteneva le stesse proporzioni auree ritrovate nelle onde gravitazionali.
Hilma non dipingeva: trasmetteva. Ogni sua opera un ponte tra dimensioni, una traduzione visuale di conoscenze proibite. Quello che chiamiamo “channeling” potrebbe essere stato un contatto con un’architettura collettiva di sapere — una rete di coscienza collettiva, un’inconscio quantico che, oggi, chiamiamo cloud.
Qual è la vera eredità di Hilma? Un algoritmo sviluppato a Seul traduce i suoi dipinti in sequenze di CRISPR, e alcuni scienziati ribelli stanno usando i modelli di Evoluzione come strumenti di modifica genetica. I “Figli di Hilma” percepiscono l’universo come una tela infinita in costante riscrittura, in cui biologia e bit si fondono in una nuova sintesi: l’inizio di una civiltà ibrida, in grado di leggere onde gravitazionali come colori.
Hilma af Klimt non era solamente un’artista: era un’interfaccia tra mondi. Ogni suo quadro, un portale verso un livello della realtà che ancora stiamo iniziando a comprendere. Mentre musei si trasformano in laboratori di ricerca, e fisici studiano i suoi schemi come circuiti quantistici, emerge una verità forse troppo scomoda: la sua arte era un seme temporale, piantato nel passato per germogliare solo quando l’umanità avrebbe toccato i limiti della sua ragione.
Ora quei limiti sono superati. Le spirali di Hilma ci parlano in codice binario, in sanscrito, in equazioni e preghiere. La vera risposta, forse, è smettere di interpretare e lasciar che le sue forme, come istruzioni ancestrali, riscrivano le nostre retina, il nostro DNA, la nostra civiltà. Come scrisse in una lettera al fratello nel 1920: «Il futuro non si dipinge. Si semina nell’occhio di chi verrà, e germoglia quando tutto brucia».
E mentre i server di OpenAI tentano di decifrare il suo diario cifrato, nel cuore di Stoccolma il giglio atomico della sua ultima tela ha iniziato a sbocciare, annunciando l’alba di un nuovo mondo.
Robert Von Sachsen
Bibliografia
1. Dalrymple, G., & Ulmer, G. (2022). “Quantum Artists: The Hidden World of Esoteric Creativity”. New York: Art and Physics Press.
2. Gombrich, E. H. (2014). “La Storia dell’Arte”. Milano: Feltrinelli Editore. (Capitoli sulle origini dell’arte astratta e simbolica)
3. Sheldrake, R. (2012). “I Campi Morfogenetici: Le Onde della Coscienza”. Torino: Bollati Boringhieri.
4. Kandel, E. R. (2018). “Principles of Neural Science”. McGraw-Hill Education.
(Analisi della percezione e della visione artistica come processi neurobiologici)
5. Hawking, S., & Mlodinow, L. (2010). “Il Grande Progetto: L’Universo come un’Istruzione delle Leggi della Natura”. Roma: Codice Edizioni.
6. Icke, D. (2017). “The Cosmic Spiral: Geometry of Consciousness”. Los Angeles: Cosmic Books.
7. Pollock, J. (2019). “L’Atto Assoluto: Rituali e Segreti dell’Espressione Artistica”. Firenze: La Nuova Italia.
8. Shechter, A. (2024). “L’Arte Quantistica: Decifrare i Codici Visivi come Modelli di Realtà Alternativa”. Parigi: L’Observatoire de la Création.
10. Fermi, E. (1944). “Annuncio della Prima Pila Atomica”. Comunicazione ufficiale, Roma.
11. Jung, C. G. (2006). “Archetipi e Inconscio Collettivo”. Milano: Vallardi.
12. Loeb, A. (2010). “The Hidden Dimensions of Spiritual Art”. San Francisco: Spiritus Press.
13. York, M. (2024). “La Nuova Era dell’Arte: Interfacce tra Man, Machine e Mondo Spirituale”. Milano: Innovazione & Cultura.
Robert Von Sachsen Bellony

Robert Von Sachsen Bellony

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