16 giugno 2025
Oggi, mentre il Medio Oriente brucia sotto i colpi della guerra tra Israele e Iran, le immagini dei missili e dei rifugi antiaerei fanno apparire lontanissimo quel gennaio del 2016 in cui il premier italiano Matteo Renzi accoglieva a Roma il presidente iraniano Hassan Rouhani, in un clima di distensione, speranza e opportunità economiche.
Allora, il mondo celebrava il JCPOA — l’accordo sul nucleare iraniano — come un traguardo diplomatico, e l’Italia fu tra le prime a riaprire i canali commerciali con Teheran. Furono firmati memorandum d’intesa per oltre 17 miliardi di euro, in settori strategici: energia, infrastrutture, acciaio, trasporti.
Renzi parlava di dialogo tra civiltà, apertura e stabilità. Oggi, quelle parole suonano ingenue, se non fuori luogo, alla luce del nuovo conflitto armato che ha visto l’Iran colpire Haifa con droni e Israele rispondere con attacchi aerei su obiettivi strategici iraniani.
Il grande errore dell’Occidente?
L’idea che l’integrazione economica avrebbe moderato il regime degli ayatollah si è infranta contro la realtà di un Iran che, dal 2016 a oggi, ha rafforzato il proprio arsenale, intensificato la propria rete di alleanze paramilitari e rilanciato ambizioni regionali in chiave militare e ideologica.
Il “ritorno dell’Iran nel mondo” auspicato da Renzi e da molte cancellerie europee non ha prodotto stabilità, ma una nuova e più pericolosa fase di confronto armato, che ora rischia di degenerare in un conflitto su scala regionale, o peggio.
Da partner a minaccia
L’Italia, che nel 2016 figurava tra i partner europei più attivi nel corteggiamento post-embargo, si trova oggi a dover rivedere la propria postura geopolitica, allineandosi di fatto alle posizioni più prudenti della NATO e dell’Unione Europea. I rapporti commerciali con Teheran sono ormai azzerati, sostituiti da preoccupazioni di sicurezza, minacce cibernetiche, e instabilità nel Mediterraneo allargato.
Il tempo delle firme nei palazzi romani è finito. Oggi, a prevalere è il suono delle sirene e il silenzio di diplomazie che non sono riuscite a evitare il ritorno della guerra.