Jovan Palalić, figura centrale nella politica serba contemporanea, è Segretario Generale del Partito Popolare Serbo. Avvocato e pensatore dalla forte impronta tradizionalista, siede da anni in Parlamento, dove ha presieduto commissioni strategiche e curato relazioni istituzionali con il Vaticano e l’Italia.
Attraverso una visione saldamente ancorata alla tradizione nazionale e a una prospettiva geopolitica filo-orientale, Palalić si è distinto per la sua critica alla pressione occidentale e per il netto rifiuto di riconoscere l’indipendenza del Kosovo. In questa intervista rilasciata in esclusiva a Tota Pulchra News, ci offre una lettura lucida della Serbia di oggi e delle sue sfide tra identità, sviluppo e neutralità internazionale.
Onorevole Palalić, come interpreta le proteste che stanno attraversando la Serbia negli ultimi tempi?
Le proteste e l’espressione di opinioni su determinati temi attraverso raduni pacifici dei cittadini sono una cosa normale in ogni Stato democratico. La nostra Costituzione lo prevede chiaramente, e non vi è alcun problema quando le proteste si organizzano nel rispetto delle leggi del Paese.
Negli ultimi anni, in Serbia ci sono state molte proteste, così come accade anche in altri Paesi europei. Dopo la tragedia avvenuta nella seconda città più grande della Serbia – Novi Sad – sono iniziate nuove proteste, che proseguono ancora oggi.
Queste proteste, col passare del tempo, hanno cambiato forma: dai richiami alla responsabilità di alcune persone coinvolte nella ricostruzione della stazione ferroviaria dove si è verificata la tragedia, si è passati a veri e propri ultimatum rivolti al Governo serbo per l’indizione di elezioni parlamentari anticipate.
Con il passare del tempo, le azioni dei manifestanti sono diventate sempre più aggressive, fino a giungere alla fase attuale, in cui bloccano le città e impediscono il normale svolgimento della vita quotidiana dei cittadini.
È evidente che l’obiettivo sia rovesciare il governo attuale della Serbia, a causa della sua politica estera e del forte sviluppo economico del Paese. Su questo si sono evidentemente allineati vari movimenti di opposizione interni, così come alcuni fattori esterni ai quali una Serbia forte e neutrale rappresenta un ostacolo ai propri obiettivi nei Balcani.
Come può la Serbia mantenere un equilibrio tra crescita tecnologica e tutela dell’identità nazionale e spirituale?
La Serbia, come Stato, è nata proprio da questo equilibrio tra tradizione e modernità: l’equilibrio tra Stato e Chiesa, tra la statualità e l’economia europee e la fede ortodossa, tra i rapporti con l’Oriente e con l’Occidente.
Le nostre chiese sono piene di giovani, di giovani famiglie, mentre allo stesso tempo la Serbia sta diventando uno dei centri europei delle nuove tecnologie, dell’innovazione e dello sviluppo moderno.
Radicati nella propria tradizione e autentici patrioti, questi giovani sono aperti al mondo, comunicano con il mondo, comprendono il mondo e desiderano farne parte, senza rinunciare né tradire ciò che essi sono realmente.
Il valore più alto per i serbi è la libertà, sia personale che nazionale. Senza la libertà personale e senza uno Stato veramente libero e indipendente, la vita dei serbi non è concepibile.
Secondo lei, l’Unione Europea sta rispettando davvero i principi di parità e sovranità nel dialogo con la Serbia?
Il problema principale nei rapporti tra Serbia e Bruxelles risiede nel fatto che l’Unione Europea, in realtà, non desidera l’allargamento all’intera regione dei Balcani occidentali, e in questo senso ha abbandonato i propri criteri nel processo negoziale.
La Serbia ha già soddisfatto tutti i criteri per l’apertura del Cluster 3 tre anni fa, e la Commissione Europea lo ha ufficialmente riconosciuto. Tuttavia, l’apertura di questo Cluster è stata bloccata da alcuni Paesi che rimproverano alla Serbia di non aver introdotto sanzioni contro la Russia.
A mio avviso, l’Europa sta commettendo un grave errore nella sua strategia per i Balcani occidentali.
Se i Balcani occidentali resteranno fuori dall’UE, altre potenze – ormai già più forti dell’Unione – approfitteranno di questa situazione per i propri interessi
Qual è il significato strategico della neutralità militare serba in un mondo multipolare?
Il valore della neutralità militare, che rappresenta il fondamento di questa scelta strategica del Paese, si basa sullo spirito della nazione di decidere autonomamente del proprio destino, libera e sovrana.
Se ha aderito a delle alleanze, lo ha fatto solo durante le guerre, e non per decisione di una grande potenza, ma in base alla propria sovrana valutazione di quale fosse l’interesse serbo.
Non dimentichiamo che la NATO ci ha bombardati, ha ucciso i nostri cittadini e distrutto le nostre città. Questo è un ulteriore incentivo a rimanere fuori da qualsiasi blocco militare.
Come risponde a chi accusa la Serbia di “guardare troppo a Est”?
Tali accuse sono pura ipocrisia. Chi oggi, in Occidente o in Europa, non guarda a Est, non visita i Paesi orientali per sostenere il proprio sviluppo economico?
La nostra posizione è chiarissima. Siamo un Paese europeo e vogliamo far parte dell’Unione Europea. Ma non dipende da noi se questo processo dura da 25 anni e se Bruxelles è insincera riguardo alla nostra adesione.Collaboriamo economicamente con tutti laddove si individuino interessi comuni.Qui si tratta del desiderio di alcuni Stati di controllarci e di definire per noi le decisioni strategiche. Non comprendono che con i serbi non si può ragionare in questo modo. Partenariato sì, sottomissione no.