LA STORIA AFFASCINANTE
Johann Joachim Faber fu un incisore, ritrattista e poi pittore tedesco specializzato nei paesaggi en plein air. Nell’epoca del Grand Tour romantico, quando gli artisti europei si recavano in Italia per studiare la straordinaria classicità della penisola, arrivò nel Lazio, dove – tra le tante attività – ebbe modo di raffigurare, in un dipinto paesaggistico, una veduta della campagna di Olevano Romano.
Il borgo stesso venne incluso in un’altra splendida realizzazione agreste del noto Albert Bierstadt. Anch’egli tedesco di origine ma americano d’adozione, dipinse molte vedute italiane – tra le quali quella di Olevano Romano – prima di divenire famoso negli Stati Uniti con le spettacolari tele delle Montagne Rocciose e della Yosemite Valley, durante la Hudson River School (noto movimento paesaggistico americano).
Sicuramente, durante il loro soggiorno laziale, i due artisti ebbero modo di assaporare il gustoso Cesanese.
Questo vitigno a bacca nera ha, sin dal suo nome, un’origine incerta. Alcuni sostengono che possa provenire dalle Caesae, ovvero dai “luoghi con gli alberi tagliati”, zone disboscate prima abitate dagli antichi Ernici e successivamente conquistate dai Romani, che vi innestarono le loro vigne.
Altri credono che il nome derivi dalla località vicina di Cesano, mentre un’ipotesi diversa lo fa risalire a Cesena, da cui un frate benedettino avrebbe portato nei territori laziali le prime barbatelle (giovani piante di vite) del futuro Cesanese.
Quello che è certo è il suo status: il vitigno a bacca nera più rappresentativo dell’intero Lazio. Ne esistono due biotipi differenti, appartenenti alla stessa famiglia regionale – stesso DNA ma tratti ampelografici (cioè relativi allo studio della vite) completamente diversi: il Cesanese Comune, caratterizzato da acini neri o bluastri, e il Cesanese di Affile, dai grappoli più piccoli e chiari.
Le zone di produzione sono: Olevano Romano (DOC), il borgo montano di Affile (DOC) e Piglio, unico rosso del Lazio con Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG), splendido borgo del Frusinate immerso nella Valle del Sacco.
I tre territori sono caratterizzati da terreni di origine vulcanica: suoli ricchi di arenaria (granelli di sabbia cementati), pozzolana (cenere vulcanica friabile), argilla (sedimento fine e assorbente), tufo (roccia vulcanica porosa e leggera) e scisti (sottili lastre minerali). L’influenza del substrato calcareo dona al Cesanese una spiccata e complessa mineralità. Le altitudini variano dai 250 ai 600 m s.l.m., con vigneti esposti soprattutto a est ma anche agli altri punti cardinali. I filari sono protetti dal freddo appenninico dal Monte Scalambra, mentre il clima mediterraneo laziale, con le brezze provenienti dalla costa, favorisce la crescita del vitigno.
DEGUSTARE UN CESANESE
Quando lo versate nel bicchiere, noterete subito un colore rosso rubino puro, tendente, nei vini giovani, a riflessi violacei-bluastri e, in quelli invecchiati, a un più tenue granato. Al naso sprigiona sentori di frutti rossi (ciliegia, amarena, visciola) e frutti neri (mora, prugna). Le note floreali più tipiche sono rosa, viola e peonia. Con l’invecchiamento, alcuni Cesanese regalano profumi complessi di pepe, ginepro, fungo, terra bagnata, cacao e tabacco.
In bocca, la beva è morbida e vellutata, con tannini ben presenti ma mai aggressivi, che rendono il gusto piacevole. Una discreta acidità lo rende immediato e beverino, ma in alcuni casi il Cesanese si presta a invecchiamenti di struttura altamente qualitativi.
Le caratteristiche variano in base al lavoro dei giovani e degli storici viticoltori delle tre aree di produzione, ma ciò che va evidenziato è il valore raggiunto dal Cesanese, frutto di una lavorazione che, nel corso dei secoli, ha sostituito la quantità con la qualità. In passato, invece, il vitigno era sfruttato al massimo e lavorato velocemente, producendo vini abboccati, frizzanti e amabili di scarsa qualità.
STORICI INTRIGHI ENOLOGICI
Il Cesanese potrebbe inoltre essere lo stesso vitigno menzionato nella Historia Naturalis da Plinio il Vecchio, che parla delle alveolae (piccoli appezzamenti di vite) di Ariccia. Nel Settecento, alcune ordinanze municipali lo tutelavano con pene severissime verso chiunque ne tentasse il danneggiamento. Negli ultimi tre secoli, soprattutto nelle zone vicine ai Castelli Romani e a Roma, è stato bevuto anche sotto altri nomi, come Bonvino, Sanguinella e Ferrigno.
Rimanendo sull’impronta storica, è di notevole interesse la tesi di Piero Riccardi, produttore vitivinicolo di Olevano Romano. Nel suo libro “L’Enigma del Cesanese”, basandosi su studi del CREA (Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria), racconta come il Cesanese non abbia DNA in comune con nessun altro vitigno d’Italia. Inoltre, Riccardi sostiene che il vitigno sia stato importato tra il 1100 e il 1200 dai monaci basiliani bizantini, rifugiatisi in Italia a seguito delle persecuzioni iconoclastiche. Infine, l’autore lancia la suggestione che esista un’unica sola pianta di Cesanese: secondo lui, quello comune e quello di Affile non avrebbero alcuna differenza.
Insomma, se volete godervi questo straordinario vino dell’Enotria italiana, potete trovarlo come fedele compagno di sughi e ragù di cinghiale, lepre e altre selvaggine, con gli abbacchi a scottadito e altri tipici piatti rustici laziali. Oppure, gustatelo anche da solo, davanti a un bel tramonto, con un libro in mano e – perché no – vicino alla persona che amate.


















