In un contesto in cui il dibattito sulla parità di genere si concentra spesso sulle questioni femminili, l’avvocatessa Fernanda Tripode ha costruito la sua carriera in un modo meno comune: è diventata una figura nazionale e internazionale difendendo uomini e padri in controversie legali. Tra gli argomenti più ricorrenti nella sua attività ci sono casi di alienazione genitoriale, denunce infondate e false accuse di violenza contro gli uomini, questioni che ancora generano controversie e sollevano interrogativi sul funzionamento del sistema giudiziario.
Fernanda, con circa 20 anni di esperienza nei tribunali brasiliani, è una voce di spicco nel dibattito sull’equilibrio di genere nelle decisioni giudiziarie. Attualmente rappresenta in Brasile la Lega Uomini Vittime di Violenza (LUVV), un’organizzazione italiana che sostiene gli uomini e le loro famiglie vittime di false accuse e di abusi giudiziari.
Il suo interesse per questo campo è nato nel 2008, quando Fernanda si occupava di casi di esecuzione del mantenimento dei figli. “Ho notato l’estrema durezza dei genitori, trattati come debitori abituali, e ne ho visti molti separati ingiustamente dai propri figli. Ho deciso di proseguire gli studi su questi temi, e di lavorare dove c’era una lacuna nella difesa dei figli”. Questa scelta ha plasmato il corso della sua carriera e l’ha portata a specializzarsi in ambiti legati alla vita familiare e all’affidamento condiviso.

Tra i principali obiettivi del suo lavoro c’è la difesa della Legge sull’Alienazione Parentale (Legge 12.318/2010), la cui attuazione è stata oggetto di critiche e tentativi di abrogazione negli ultimi anni. Per Fernanda, la legislazione è uno strumento necessario per garantire il diritto del minore a un rapporto equilibrato con entrambi i genitori. La lentezza dei procedimenti legali e la resistenza a riconoscere l’alienazione parentale come una forma di violenza rappresentano le sfide maggiori. Abrogare o indebolire questa legge sarebbe un passo indietro, poiché aprirebbe la strada all’abbandono emotivo e alla rottura dei legami”, afferma.
Il suo lavoro su questo tema ha attirato l’attenzione internazionale. Una lettera firmata da diverse organizzazioni europee (tra le quali LUVV, ndr) è stata persino inviata al Congresso Nazionale Brasiliano per ribadire l’importanza del mantenimento di quella legge. Il legame di Fernanda con la Lega Uomini Vittime di Violenza è emerso come una naturale conseguenza del suo lavoro. “L’obiettivo è rafforzare il dibattito sui diritti dei padri e degli uomini e costruire ponti tra il Brasile e l’Europa. “È un movimento per garantire che la giustizia sia più equilibrata e basata sulle prove”, spiega.
Oltre al suo lavoro in tribunale, l’avvocata Fernanda Tripode partecipa anche a reti di supporto ed eventi volti a sensibilizzare sulle varie forme di squilibrio nelle controversie legali che coinvolgono il genere maschile, ed in particolare si occupa dei casi in cui i suoi che coinvolgono accuse successivamente ritenute infondate, soprattutto nei settori della violenza domestica e degli abusi sessuali. “Quando un’accusa viene inventata, un uomo viene separato dai suoi figli e stigmatizzato. Anche dopo essere stato assolto, il tempo perso e la reputazione raramente vengono recuperati. “Abbiamo bisogno di meccanismi che prevengano questo tipo di ingiustizia senza compromettere la protezione delle vere vittime”, sostiene.

Secondo l’avvocatessa, parte di questo scenario riflette un fenomeno che, a suo avviso, sta prendendo piede in ambito istituzionale: la misandria, termine che definisce l’odio o la repulsione verso gli uomini. Fernanda afferma che questa visione, precedentemente limitata ad atteggiamenti individuali, ora si manifesta in modo strutturato, anche in ambito giudiziario. Tra gli esempi, cita decisioni che accettano la parola di una donna come prova sufficiente per separare immediatamente i padri dai figli e che, in tal modo, incoraggiano il proliferare di false accuse nelle controversie relative all’affidamento e alla divisione dei beni.
Un’altra preoccupazione sollevata da Fernanda è la visibilità della violenza domestica contro gli uomini, un tema ancora poco esplorato nelle politiche pubbliche. “Molti non lo denunciano per vergogna o per paura di non essere presi sul serio”. “Abbiamo bisogno di politiche pubbliche, statistiche e assistenza specializzata per garantire protezione a tutti, indipendentemente dal genere”, sottolinea. “Il silenzio che circonda queste situazioni contribuisce all’invisibilità del problema e rafforza gli stigmi che ostacolano l’accesso alla giustizia”, aggiunge.
L’impegno dell’avvocato Fernanda Tripode, in particolare, si è concentrato su una norma dell’Ordinamento Brasiliano, la c.d. Legge Maria da Penha (L. n. 11.340 del 2006), che con il suo carico di arbitrarietà nel causare ingiusti provvedimenti di allontanamento dai figli di padri poi giudicati del tutto innocenti, ha fatto aumentare a dismisura il fenomeno delle false accuse femminili in sede di separazione coniugale. Su questo tema, Fernanda mette quotidianamente in discussione l’applicazione di questa legge, la cui struttura viola il principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione brasiliana, poiché stabilisce misure di protezione basate esclusivamente sul sesso della presunta vittima che, in moltissimi casi, inventa accuse prive di qualunque fondamento. “Oggi presento moltissime denunce per calunnia, senza attendere esiti o lentissime verifiche da parte della Giustizia. E’ l’unico modo per scoraggiare le autrici di false accuse e gli avvocati che, attivamente o in modo passivo, le incoraggiano”.
Secondo Fernanda, il modello creato dalla Legge Maria de Penha può generare distorsioni procedurali. “Le misure di protezione vengono spesso concesse senza un’udienza, il che, nella pratica, può portare a distorsioni: allontanamenti immediati, abusi nelle controversie familiari e stigmatizzazione automatica degli uomini”, sostiene. “La tutela legale dovrebbe considerare la realtà di tutti i soggetti coinvolti. La violenza non ha genere, quindi la tutela deve essere universale”.
Tra i tanti casi che hanno segnato la sua carriera, uno in particolare è stato decisivo per il suo lavoro in ambito penale. Fernanda ricorda la storia di un padre condannato per abusi sessuali sulla base della sola testimonianza della madre del minore. “Sono intervenuta nel caso in appello e ho presentato relazioni che non mostravano abusi. Il tribunale ha assolto il padre. È stato un punto di svolta per me e mi ha motivata a lavorare anche in ambito penale”, racconta.
Da allora, Fernanda è stata contattata sempre più spesso per lavorare su casi simili, concentrandosi sempre sull’analisi tecnica delle prove e sulla garanzia del giusto processo.



















