Nell’ombra cupa di un mondo attraversato da conflitti sempre più insidiosi, il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, lancia un monito che risuona come un colpo di tuono nella coscienza globale.
In un contributo esclusivo per il mensile Polizia Moderna, edito dalla Polizia di Stato italiana in occasione della festa di San Michele Arcangelo, Parolin dipinge un ritratto della pace non come astratta utopia, ma come “ossigeno” vitale la cui carenza sta soffocando intere nazioni. Un’immagine potentissima, che trasforma il concetto di sicurezza da questione geopolitica a emergenza esistenziale.
La riflessione del porporato, intrisa di riferimenti agli ultimi interventi di Papa Leone XIV, svela una verità scomoda: il multilateralismo sta collassando, e con esso ogni speranza di mediazione efficace tra i fronti di guerra. «L’indebolimento del dialogo tra Stati», scrive Parolin, «ha creato un vuoto in cui le tensioni si moltiplicano come virus incontrollati». Parole che riecheggiano le ferite aperte dello scenario internazionale, dall’Ucraina al Sahel, dal Myanmar alle tensioni nel Mar Cinese Meridionale.
Ma è nel legame tra spiritualità e azione concreta che il cardinale costruisce il suo manifesto. Citando il Pontefice, ricorda come la pace debba essere “disarmata e disarmante”: non un trattato imposto con la forza, ma un processo che sgorga dal cuore, capace di «sradicare l’orgoglio e le rivendicazioni». Un richiamo che trasforma ogni agente di polizia, ogni operatore di sicurezza, in un “artigiano di speranza”, custode non solo dell’ordine pubblico ma di un patto sociale più profondo.
Il tributo alla Polizia di Stato italiana assume qui toni quasi epici. Parolin celebra il “prezioso dispiegamento” durante la Sede Vacante e l’elezione di Leone XIV, definendolo un esempio di come la sicurezza possa fondersi con l’accoglienza, specialmente nel contesto delle imminenti celebrazioni giubilari del 2025. Un passaggio cruciale, che lega il microcosmo vaticano – con i suoi flussi di pellegrini – al macrocosmo delle migrazioni globali, dove le forze dell’ordine si trovano a essere simultaneamente garanti della legge e mediatori culturali.
La critica al “linguaggio che uccide” – le parole usate come armi – è un j’accuse contro la retorica tossica dei nazionalismi e dei populismi. Parolin evoca una “semantica della riconciliazione”, in cui ogni dialogo, persino il più tecnico, diventi atto politico sacro. È qui che la diplomazia vaticana rivela il suo tratto distintivo: non mera mediazione tra governi, ma “costruzione di ponti tra anime”.
Il riferimento all’Ispettorato di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano non è casuale. In quelle divise che pattugliano piazza San Pietro si cela una metafora universale: la sicurezza come atto di fede nella convivenza. Il cardinale esorta a vedere nelle forze dell’ordine non un mero apparato repressivo, ma “linfa di una cultura della pace”, soprattutto in un’Italia stretta tra emergenze migratorie e tensioni sociali.
Conclude con un appello che è quasi una preghiera laica: «La pace impegna tutti, oltre ogni bandiera». Una sintesi folgorante del pensiero di Leone XIV, dove l’universalismo cattolico si fa grido di allarme per l’intera umanità. In tempi di intelligenza artificiale e droni killer, Parolin riporta l’attenzione sul fattore umano: ogni gesto di giustizia, ogni atto di coraggio nelle strade, diventa mattone di una nuova Gerusalemme terrena.
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