In un angolo remoto dell’Alta Loira, lassù dove le nuvole si impigliano tra i pinnacoli vulcanici di Le Puy-en-Velay, si cela un segreto millenario.
Non una semplice rotta turistica, intendiamoci, ma quasi un codice cifrato tracciato sull’asfalto, un sentiero che da secoli pone all’umanità domande scolpite nel basalto: cosa significa avanzare quando il mondo sembra implorare di fermarsi? Come si forgia una volontà incandescente in un’era che idolatra l’effimero?
Il Cammino di Santiago, nella sua variante podense, non è una marcia di fuga.
No, è piuttosto una rivolta silenziosa contro la dittatura dello schermo, una processione laica dove gli smartphone si trasformano quasi in conchiglie e i “mi piace” in preghiere sussurrate. Ogni anno, migliaia di “pellegrini digitali” abbandonano le prigioni algoritmiche per calpestare quelle che Rocco, una sorta di guida spirituale per questa nuova generazione errante, definisce “spade di granito”. «Qui non si cammina per arrivare», spiega con una voce che ricorda il crepitio di un fuoco di bivacco, «si avanza per disintegrare la maschera che indossiamo e far rinascere l’arcano che dorme sotto la patina del selfie».
La geografia sacra del Cammino nasconde un paradosso affascinante: più ci si allontana dalla civiltà, più il mondo sembra farsi vicino.
Nei borghi dell’Occitania, dove le insegne al neon sono bandite per statuto medievale, i viandanti del Terzo Millennio riscoprono una sorta di internet primordiale: le reti wifi sostituite da sguardi che si incrociano alle fontane, gli hashtag trasformati in gesti di pane spezzato. «È qui che avviene la vera connessione 5G», scherza Mathilde Dubois, osteologa convertita al nomadismo filosofico, «dove G sta per Gratitudine, Gravità e Grazia».
Ma perché questa antica via francigena esercita un’attrazione così potente sui nativi digitali? Alcuni antropologi parlano di una “sindrome del codice mancante”: un’urgenza di decifrare le pergamene della carne dopo secoli di ipertesto. I neurologi, dal canto loro, evocano il risveglio di speciali “neuroni pellegrini”, circuiti cerebrali che si riattivano solo sotto il peso di uno zaino, tra le oscillazioni del passo umano. Eppure, forse la risposta risiede in una verità ancora più spiazzante: il Cammino non è una fuga dalla realtà, ma un’amplificazione della stessa.
Quelle pietre levigate da milioni di sandali non cancellano il mondo, ma lo costringono a rivelarsi in controluce, quasi come un negativo fotografico sviluppato nel liquido degli istinti.
Nelle cappelle romaniche che punteggiano il tracciato, tra affreschi di santi i cui volti a volte sembrano ricordare influencer medievali, prende forma una nuova epistemologia.
L’atto del camminare – un ritmo ancestrale di circa 4,8 km/h – si trasforma in una sorta di algoritmo anti-algoritmo, una formula matematica per decriptare l’enigma dell’esistenza. «Ogni giorno bruci 5.000 calorie e guadagni un grammo d’eternità», sussurra un graffito nei pressi di Conques, sintesi perfetta di un’epoca che ha provato a tradurre il mistero in equazioni metaboliche.
E mentre i social network promettono libertà attraverso filtri patinati, il Cammino offre l’esatto contrario: la libertà attraverso il filtro della fatica. Niente più avatar costruiti ad arte: solo sudore che disegna mappe saline sulla pelle, vesciche che diventano quasi stigmate laiche, silenzi che fanno tremare i dogmi del personal branding. «Qui impari a morire dieci volte al giorno», confessa un ex broker di Wall Street ora dedito al baratto di storie ai margini della strada, «e ogni resurrezione sa di pane appena sfornato».
Il paradosso raggiunge l’apice a Roncisvalle, dove la leggenda di Orlando si fonde con la cronaca moderna. Nella stessa valle dove un paladino medievale suonò il corno fino a scoppiargli il cuore, oggi migliaia di viandanti ricaricano i propri power bank ai margini dell’abbazia. È qui che il mito si fa metaverso tangibile: ogni power bank scarico diventa un corno di Orlando moderno, ogni ricerca disperata di segnale si trasforma in un inno alla disconnessione sacra. Il Wi-Fi diventa quasi un “Why-Fi”: un interrogativo esistenziale inciso sui muri dei rifugi, dove i router medievali – fatti di pietre accatastate e preghiere in latino – offrono una banda larga dell’anima che nessuna fibra ottica potrà mai eguagliare.
La vera meta, a ben guardare, non è Santiago, ma la mutazione del DNA spirituale. Lungo i sentieri brulicanti di oranti tech-detox, il sudore evapora in linguaggio binario: 1 e 0 che non sono più semplici cifre, ma quasi un “sì” e un “no” esistenziali, bit trasformati in battiti di ciglia davanti all’infinito. «Il Cammino è una sorta di circuito stampato lasciato dagli dei», teorizza Zhora, una pellegrina-hacker che ha sostituito il codice Python con il dialetto occitano, «dove ogni pietra miliare è un firewall contro l’oblio».
All’alba del quinto giorno, quando le ombre dei viandanti si proiettano quasi come ologrammi sul Massiccio Centrale, accade una specie di miracolo inverso: non è più l’uomo a cercare il senso, ma il senso a inseguire l’uomo. Le vesciche sui talloni brillano di una luce quasi alchemica, i tweet mentali si decompongono in preghiere paleolitiche. E in quel momento, tra uno snack proteico e un’invocazione a San Michele, il pellegrino comprende che l’unico Follower che conta davvero è quello invisibile, quello che cammina al contrario nel tempo, scolpendo itinerari nell’argilla dei suoi passi.
Il Cammino non si conclude con l’arrivo alla cattedrale di Compostela, ma quasi nella crepa che separa due epoche. Qui, tra i fantasmi dei monaci amanuensi e gli echi delle notifiche silenziate, si compie il gioco finale: l’uomo non è più un semplice utente, ma una sorta di nodo vivente in una rete senza server. Le impronte fangose lasciate sui sentieri dell’Alvernia diventano firme digitali su un contratto primordiale, dove la velocità cede il passo al respiro e i diritti d’accesso si negoziano con offerte di mele selvatiche.
Rimane una domanda bruciante, forse più pungente dei rovi che lambiscono la Via Podense: cosa accadrebbe se tutti i profili social diventassero pellegrinaggi, se ogni “mi piace” si trasformasse in un passo verso l’ignoto? Forse, allora, le mappe di Google mostrerebbero non strade ma vene pulsanti, e il vero status symbol non sarebbe più un badge blu, ma una conchiglia intrisa di sudore e polvere di stelle. Il Cammino, in fondo, è l’ultimo algoritmo non corruttibile: un’equazione che sostituisce il Ctrl+C con il Ctrl+Te stesso, e nella cui soluzione si cela forse il segreto per riconvertire l’anima da un anonimo file .doc a un testo sacro.
RVSCB




















