Nelle nebbie del tempo, dove la storia sfuma in leggenda, si nasconde un enigma capace di riscrivere le radici stesse della conoscenza.
Sanchouniathon, erudito fenicio dall’insaziabile curiosità, sfidò i tabù del sacro per strappare alla polvere dei templi il segreto più custodito dell’antichità: gli scritti di Taauto, il genio arcaico che plasmò le prime lettere dell’alfabeto, venerato come Thoth dagli Egizi, tradotto come Ermete dai Greci.
La sua ricerca, oscurata per millenni dai veli del mito, riemerge oggi come una provocazione alla memoria collettiva: e se l’origine della scrittura nascondesse un patto segreto tra dei e uomini?
La vicenda, tramandata da frammenti evanescenti, dipinge Sanchouniathon come un Indiana Jones dell’età del bronzo.
Armato non di frusta, ma di acume filologico, penetrò nei sacrari degli Ammonei, popolo enigmatico la cui grafia — simile a un codice cifrato — custodiva annotazioni proibite.
Qui, tra rotoli avvolti nel lino e tavolette d’argilla incise con simboli arcani, rinvenne le opere di Taauto: il “primo uomo sotto il sole” che trasformò suoni in segni, gettando le basi del logos. Un’impresa rivoluzionaria, pari alla scoperta del fuoco, sepolta però sotto strati di allegoria mitica.
Il dramma si consuma nel conflitto tra verità e potere.
I sacerdoti dell’epoca, custodi gelosi del sapere, tentarono di soffocare quelle rivelazioni, relegandole alla sfera del mistero inaccessibile.
Fu così che nacquero i culti iniziatici, anteprima dei misteri eleusini, dove il conoscibile si trasformò in esoterico. Sanchouniathon, al contrario, applicò un metodo quasi moderno: epurò i testi dalle metafore, cercando il nucleo storico sotto il mito. Un atto di ribellione intellettuale che anticipò di secoli lo spirito critico della filosofia greca.
Ma perché tanto accanimento nel nascondere Taauto-Thoth-Ermete? La risposta potrebbe risiedere nel potere sovversivo della scrittura.
Chi controlla i simboli, controlla la realtà. L’alfabeto primordiale non era solo uno strumento: era un’arma di costruzione massiva, in grado di tramandare verità scomode, sfidare dogmi, immortalare memorie sgradite ai potenti. Gli scritti di Taauto, forse, contenevano non solo le lettere, ma rivelazioni sulla natura degli dei, sull’origine del cosmo, su conoscenze scientifiche troppo avanzate per l’epoca.
Oggi, mentre l’archeologia digitale scandaglia ogni pixel dei rotoli del Mar Morto, la storia di Sanchouniathon suona come un monito. La battaglia per l’accesso alla conoscenza raw — non filtrata da intermediari — è più cruciale che mai. Quanti “Taauto” moderni vedono le loro scoperte oscurate da nuovi sacerdoti del controllo informativo? Quanti saperi restano sepolti nei server anziché nei templi?
Il finale di questa epopea è aperto. Gli originali di Taauto, forse, giacciono ancora in qualche cripta non violata, in attesa di un nuovo Sanchouniathon.
O forse, come suggeriscono alcuni filologi, furono distrutti per sempre, lasciando solo echi nelle opere di Filone di Biblo o nei Corpus Hermeticum. Ma il loro fantasma aleggia su ogni pagina scritta, ricordandoci che ogni lettera è un atto di coraggio: un ponte gettato tra l’ignoto e la comprensione.
Questa non è solo una storia di inchiostro e pietra. È un thriller metafisico sul prezzo della verità. E chissà che, tra le righe di questo articolo, non si nasconda un frammento del codice di Thoth, pronto a risvegliare il cercatore che è in voi.
RVSCB


















