C’era un tempo in cui le mattine dei paesi pugliesi, calabresi e siciliane iniziavano con un gesto lento, silenzioso e carico di significato: le donne si raccoglievano i capelli in una treccia, la tessa. Non era solo un modo per pettinarsi, ma un rito quotidiano, un modo per dare ordine alla giornata e portare rispetto a sé stesse e alla propria famiglia.
Con mani abituate al lavoro e alla cura, le donne intrecciavano con precisione le ciocche dei capelli e le fermavano dietro la nuca. Usavano pochi strumenti, semplici e preziosi: la pettinissa, un pettinino di osso o di corno, e i ferrietti, piccole forcine che tenevano salda la treccia. Ogni giorno, lo stesso gesto, ripetuto con naturalezza.
In molti borghi del Sud era tradizione intrecciare tra i capelli anche un nastrino di stoffa colorata. A volte era segno di giovinezza, altre volte un dettaglio di bellezza discreta. Un filo rosso, blu o verde che raccontava l’animo di chi lo portava.
A Gioiosa Ionica, la tessa assumeva un significato ancora più profondo. Le maddamme, le donne sposate, raccoglievano i capelli con grande compostezza, avvolgendo la treccia attorno al capo e fermandola con un laccio scuro. Quell’acconciatura era un simbolo di rispetto, maturità e dignità. Parlava di donne forti, capaci di attraversare la vita con silenziosa determinazione.
Oggi, guardando le fotografie ingiallite dei cassetti o ascoltando i racconti delle nonne, si comprende che quei capelli raccolti non erano solo un’acconciatura. Erano un segno di identità. Ogni forcina racchiudeva un segreto, ogni nodo custodiva una storia di lavoro, amore, attesa o sacrificio.
La bellezza di quelle donne non aveva bisogno di trucchi o ornamenti. Stava nella semplicità dei loro gesti e nella dignità con cui affrontavano le giornate. La tessa era una parte di loro, un simbolo di ordine, forza e grazia.
Oggi quel gesto appartiene alla memoria, ma non è scomparso del tutto. Ogni volta che qualcuno raccoglie i capelli con cura, ogni volta che una treccia torna a comparire su un volto giovane, rivive un frammento di quella tradizione. Un piccolo legame con la saggezza antica delle donne pugliesi, calabresi e siciliane, silenziose, essenziali ma soprattutto eterne.
Anna Rita Santoro



















