Il 2 novembre di cinquant’anni fa il mondo perdeva Pier Paolo Pasolini, una delle figure più complesse, lucide e controcorrente del Novecento. Poeta, romanziere, saggista, regista, giornalista: Pasolini è stato tutto questo e molto di più. Il suo sguardo, tagliente e profetico, ha attraversato le periferie dell’anima e delle città, dando voce a chi non ne aveva e rivelando ciò che la società consumista cercava — e forse ancora cerca — di nascondere sotto la superficie del progresso.
Pasolini non si limitò a raccontare la realtà: la mise a nudo. Trasformò parole, immagini e suoni in strumenti di denuncia e rivelazione. Le sue opere non sono semplicemente film o pagine scritte: sono ferite aperte nel corpo della storia, interrogazioni incessanti sul potere, sull’innocenza tradita, sulla modernità che divora le radici, sul sacro che resiste tra le rovine.
Il cinema come luogo di verità
Nel suo percorso cinematografico, Pasolini seppe osare come pochi. Con Accattone scelse i margini, le borgate, i corpi feriti degli ultimi. In Mamma Roma raccontò l’orgoglio e la disperata dignità di chi lotta per sfuggire al destino.
Con Teorema scardinò le certezze borghesi con un racconto metafisico e scandaloso nella sua semplicità simbolica.
Arrivò poi alle tragedie antiche — Edipo Re, Medea — rivisitate come specchi del nostro tempo, fino al capitolo finale e più discusso della sua carriera: Salò o le 120 giornate di Sodoma, film estremo, ancora oggi capace di scuotere coscienze e dividere lo spettatore tra rifiuto e meditazione profonda sul potere e sull’annientamento dell’innocenza.
Ogni fotogramma pasoliniano è un atto di libertà e di responsabilità artistica: il cinema come campo di battaglia morale.
Un’eredità viva
A mezzo secolo dalla sua morte, Pasolini continua a parlarci. Il suo pensiero risuona ancora nelle domande che pone: chi siamo diventati? Quale prezzo paghiamo per il progresso? Chi resta indietro, oggi come ieri?
Non c’è compiacimento nostalgico nel ricordarlo. C’è piuttosto la consapevolezza che la sua voce inquieta e poetica rimane necessaria in un tempo che teme il conflitto delle idee, che appiattisce, che semplifica.
Pasolini ci ha insegnato che l’arte può essere scomoda, che la cultura è resistenza, che la bellezza è anche ferita e responsabilità.
Oggi celebriamo la forza di un uomo che ha trasformato la parola in arma gentile e uragano, e che ha inciso per sempre la storia del cinema, della letteratura e del pensiero.
Non per piacere a tutti — non era nel suo destino — ma per liberare lo sguardo, per attraversare la notte e indicare, con voce ruvida e luminosa, la strada verso la verità.
Cinquant’anni dopo, la sua opera non tace: continua a chiedere, disturbare, liberare.
Continua a farci pensare.
E questo, forse, è il suo dono più grande.
Ubaldo Santoro e Anna Rita Santoro

















