Il Nosferatu del 2024, diretto da Robert Eggers, non è soltanto un omaggio al capolavoro espressionista del 1922: è una rinascita oscura, disturbante, magnetica. È un film che non si limita a raccontare la figura del vampiro, ma ne fa un emblema della fine dei tempi, un’incarnazione del Male che non esplode mai in spettacolo, ma striscia, corrode, si insinua lentamente fino a occupare ogni angolo della mente dello spettatore.
Fin dalle prime scene si ha la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di profondamente diverso: un’esperienza più che una visione. Non si guarda Nosferatu, lo si attraversa, con il battito rallentato e la pelle tesa. La macchina da presa sembra fluttuare nel buio, come guidata da una volontà ultraterrena. Le inquadrature sono gelide, pittoriche, ma mai statiche: c’è una sorta di movimento sommerso, come se ogni fotogramma respirasse.
L’oscurità non è solo un elemento estetico: è la vera protagonista del film. Non c’è luce che possa davvero penetrare questo mondo, nessun conforto. Ogni spazio è contaminato, ogni volto è spento. La sensazione è quella di una lenta, inesorabile apocalisse, non tanto cosmica quanto interiore. È l’umanità stessa che sta spegnendosi, vittima di un’epoca che ha perso fede, calore e senso.
E poi c’è lui: Nosferatu. Una presenza che non ha bisogno di urlare, di correre, di aggredire. Willem Dafoe – irriconoscibile e magnifico – offre una performance silenziosa e agghiacciante, quasi ieratica. Il suo vampiro è una creatura che non si limita a succhiare il sangue: prosciuga la volontà, infetta i sogni, porta con sé un senso di condanna irreversibile. Non è solo il male: è la fine della speranza.
Ma proprio quando tutto sembra perso, la salvezza arriva. E arriva in modi assolutamente inattesi, quasi sbagliati. Non è un gesto eroico, non è la luce a vincere il buio, ma qualcosa di profondamente ambiguo, disturbante. È come se il film ci dicesse che in un mondo così malato, anche la redenzione non può più permettersi di essere pura. È contaminata, dolorosa, eppure reale. Ciò che salva, non consola.
Quando si esce dalla sala, il mondo sembra cambiato. Non si riesce a parlare subito. Si cammina come se si fosse appena stati risucchiati da un sogno febbrile, con la testa pesante e il cuore che batte a vuoto. Ti senti stordito, come se qualcuno – o qualcosa – ti avesse portato via una parte di te.
Nosferatu (2024) è un film che non lascia scampo. Non ti accompagna, ti cattura. Non ti spaventa soltanto: ti infetta. È cinema allo stato più puro e più pericoloso. Un incubo ipnotico da cui non si esce indenni.