Mission: Impossible – The Final Reckoning è un capitolo conclusivo (?) potente e disturbante, che eleva la saga a un livello inaspettatamente riflessivo. Più che una missione, è uno scontro esistenziale con una realtà sempre più manipolata, deviata, riscritta da forze che non si vedono ma che governano tutto: i dati, la percezione, la verità.
Ethan Hunt (Tom Cruise) si muove in un mondo in cui la tecnologia non è più un mezzo, ma un fine perverso. L’intelligenza artificiale che domina la minaccia del film è capace di alterare i fatti stessi, ridefinendo il concetto di realtà in modo inquietante. Non siamo solo davanti a una guerra cibernetica, ma a una trasformazione ontologica, che spinge l’umanità lontano dalla sua matrice originaria.
Il ritmo è frenetico, volutamente innaturale, come lo è la vita moderna, distaccata da ogni equilibrio autentico. L’azione è impeccabile, ma ciò che colpisce davvero è il senso di vertigine, il dubbio continuo su cosa sia reale e cosa no. In questo, il film si fa specchio del nostro tempo, in cui la velocità ha sostituito la verità, e l’identità è sempre più fluida e vulnerabile.
Dal punto di vista tecnico, The Final Reckoning è un capolavoro: fotografia tagliente, colonna sonora tesa, montaggio serrato e una regia che sa dosare spettacolo e inquietudine. È forse il più maturo e riuscito tra tutti i Mission: Impossible.
In definitiva, The Final Reckoning chiude la saga con uno sguardo profondo e necessario sul nostro presente. Non solo un grande film d’azione, ma una riflessione potente su dove stiamo andando — e su quanto siamo ancora padroni del nostro destino.