Film – California Schemin’, James McAvoy firma un debutto alla regia energico e inatteso, scegliendo una storia che sembra uscita da una leggenda metropolitana e invece è accaduta realmente. Il film racconta l’incredibile vicenda del duo rap scozzese Silibil N’ Brains, due ragazzi di Dundee che all’inizio degli anni Duemila riuscirono a convincere l’industria musicale britannica di essere star hip-hop provenienti dalla California. Con un misto di audacia, invenzione e spregiudicatezza, ingannarono discografici e media specializzati, arrivando a un passo dal successo mondiale. È proprio su questo sottile confine tra autenticità e identità costruita che McAvoy costruisce un film vivace, dal ritmo serrato e capace di lavorare al tempo stesso su intrattenimento e riflessione.
La storia segue Gavin e Billy, amici d’infanzia legati dalla passione per il rap, genere in cui hanno trovato il mezzo ideale per esprimere frustrazione e ambizione. Vivono in Scozia, in una realtà provinciale che soffoca ogni aspirazione artistica e in cui il talento spesso non trova spazio per crescere. Nonostante l’impegno e la dedizione, i due vengono esclusi e ridicolizzati perché il loro accento non corrisponde all’immaginario dominante dell’hip-hop. Il mercato discografico non li rifiuta per mancanza di qualità, ma per un pregiudizio culturale. Quando comprendono che nessuno li prenderà sul serio per quello che sono, inventano una nuova identità. Nascono così i loro alter ego americani: due falsi rapper di Venice Beach arrivati nel Regno Unito con il sogno di conquistare la scena musicale britannica. Bastano berretti, slang forzato e un accento artificiale per trasformare due ragazzi comuni in due personaggi credibili nell’industria dell’intrattenimento.
McAvoy affronta questo materiale narrativo con uno stile che mescola realismo e ritmo da commedia, evitando il tono macchiettistico. Pur raccontando una storia piena di follia e situazioni paradossali, il film non si limita a sfruttarne il potenziale comico. L’elemento spettacolare resta sempre al servizio di una questione centrale: cosa si è disposti a sacrificare per inseguire un sogno? Gavin e Billy inizialmente si muovono con leggerezza, come se la loro truffa fosse una sorta di grande esperimento sociale. Ma quando il gioco si complica e la finzione diventa totalizzante, si trovano intrappolati in un ruolo che rischia di schiacciarli psicologicamente. Mentire al mondo è relativamente facile; mentire a se stessi molto meno. Con questo film, McAvoy sembra voler indagare il rapporto fra aspirazione e identità, mettendo in scena non solo l’avidità del sistema musicale ma anche la fragilità di chi sogna un riscatto.
Da attore affermato, McAvoy conosce bene il valore del ritmo narrativo e sa come dirigere scene dialogate e dinamiche. Il film ne beneficia, mostrando una costruzione solida e una grande attenzione per il dettaglio umano. La regia non è mai invadente, procede con sicurezza e alterna momenti di grande energia a passaggi più intimi. Le performance dei due protagonisti, interpretati da Séamus McLean Ross e Samuel Bottomley, sono convincenti e capaci di reggere la doppia natura dei personaggi: ragazzi pieni di entusiasmo e vulnerabilità che si trasformano in performer irriverenti e spavaldi. La loro amicizia è il cuore emotivo del film e il rapporto fra i due attraversa tutte le sfumature di una relazione fraterna: complicità, rivalità, rabbia, fedeltà.
L’ambientazione tra Scozia e Inghilterra restituisce con efficacia il contrasto fra le periferie grigie e le luci illusorie dello show-business. Le scene ambientate negli uffici discografici e nei backstage dei concerti rafforzano la satira del film contro il cinismo dell’industria musicale, pronta a credere a qualunque storia pur di costruire un nuovo prodotto commerciale. Il film sottolinea come il marketing e la narrazione personale siano diventati più importanti del talento stesso. In questo senso, California Schemin’ non si limita a raccontare una truffa riuscita: racconta soprattutto una società che vuole essere ingannata pur di avere nuovi miti da consumare.
La colonna sonora è un elemento fondamentale del film e accompagna la narrazione con coerenza, contribuendo a dare autenticità all’atmosfera hip-hop dei primi anni Duemila. Non mancano brani originali e sequenze musicali che servono a raccontare la vera passione dei protagonisti per la musica, dimostrando che il loro sogno, per quanto intrappolato nella menzogna, nasce da un talento reale. Il film non condanna i due personaggi, ma mostra le conseguenze morali e affettive delle loro scelte. La loro ascesa è rapida e travolgente, ma anche la discesa verso la realtà è inevitabile.
Oltre al tema dell’identità, il film restituisce con efficacia la dimensione psicologica del successo improvviso. Gavin e Billy vivono un’escalation di bugie che li costringe a interpretare continuamente un ruolo, fino quasi a perdere il contatto con la propria vita. Il falso diventa vero, il personaggio ingoia la persona. È questa la parte più drammatica del racconto e McAvoy la affronta con maturità, senza cadere nel moralismo. Non c’è giudizio, c’è osservazione. Non c’è condanna, c’è umanità.
Come opera prima, California Schemin’ è un debutto sorprendentemente solido, capace di unire intrattenimento e autenticità. Non è un film perfetto – in alcuni momenti il ritmo rischia di rallentare e certe dinamiche narrative avrebbero meritato maggiore profondità – ma è un lavoro coerente e con una chiara personalità. Soprattutto, è un film che racconta qualcosa di attuale: la fame di riconoscimento, la pressione sociale a “diventare qualcuno”, la finzione come strumento di sopravvivenza culturale.
James McAvoy dimostra di saper guardare oltre la superficie delle storie e di saper dirigere con sensibilità. Se questo è solo il suo primo passo da regista, è lecito aspettarsi molto dai prossimi. California Schemin’ è un film che parla di sogni genuini, bugie necessarie e verità difficili da affrontare. Un mix esplosivo di ironia, musica e tensione emotiva che funziona perché racconta persone reali e non archetipi. Ed è questo che lo rende, in fondo, un film profondamente umano.
Anna Rita Santoro





















