Alla Festa del Cinema di Roma 2025, il pubblico ha accolto con emozione Leibniz – Chronicle of a Lost Painting, l’ultimo film del maestro tedesco Edgar Reitz, classe 1932, autore della leggendaria saga Heimat e figura centrale del Nuovo Cinema Tedesco.
Prima della proiezione, Reitz ha ricevuto il Premio Master of Film, consegnato da Nanni Moretti in una cerimonia dal forte valore simbolico. Un incontro tra maestri, tra due idee di cinema che, pur appartenendo a culture diverse, condividono una stessa fede nell’autorialità.
«È un bellissimo premio, e sono felice di riceverlo da te. Dopo tanti anni, sento che si chiude un cerchio. Ho 93 anni, e forse questo sarà il mio ultimo film», ha dichiarato Reitz con voce emozionata davanti a una sala gremita. Parole che hanno attraversato la platea come una scossa, lasciando una sospensione emotiva: si era consapevoli di assistere a qualcosa che andava oltre l’evento cinematografico. Era un saluto, un congedo poetico.
Moretti, toccato, ha motivato così il riconoscimento: «Sono felice di consegnargli questo premio per due motivi: per il suo meraviglioso Heimat 2, che al Cinema Sacher creò un pubblico felice come non mai, e perché Reitz appartiene a quella generazione di registi degli anni Sessanta che rifiutò la società e il cinema ereditati, inventando un nuovo modo di raccontare.»
Un incontro tra filosofia e cinema
Ambientato nel 1704, il film racconta la storia del ritratto perduto del filosofo Gottfried Wilhelm Leibniz, matematico e teorico dei “mondi possibili”. La regina Sofia Carlotta di Prussia desidera un ritratto ufficiale del pensatore e incarica il pittore di corte Delalande di immortalarlo. Ma dipingere Leibniz si rivela impresa impossibile: la sua essenza sembra sfuggire a ogni tentativo di rappresentazione.
La svolta arriva con l’arrivo di Aaltje van der Meer, pittrice olandese che non crede nelle forme convenzionali della ritrattistica. Più che imitare, vuole comprendere. Tra lei e Leibniz nasce una relazione artistica fatta di dialogo, rivelazioni e sfide concettuali.
È lei a pronunciare la frase chiave del film:
“Quello che non so, posso dipingerlo.”
Una dichiarazione che è anche manifesto poetico: l’arte come strada verso l’ignoto, come ricerca del vero oltre il visibile.
La riflessione sulle immagini nell’era digitale
Con questo film, Reitz affronta una domanda radicale: che senso ha un’immagine oggi? In un’epoca dominata da schermi e produzione compulsiva di contenuti visivi, l’immagine è diventata consumo. Reitz allora compie un gesto opposto: torna alle origini. Riscopre il volto umano, la mano dell’artista, la lentezza dell’osservazione.
Leibniz – Chronicle of a Lost Painting è un’opera che rifiuta l’estetica del cinema usa e getta. È girato con rigore pittorico, con attenzione alla luce, alla materia, alla profondità dei volti. Nessuna spettacolarità gratuita, nessun compiacimento formale: solo essenza. Un film che respira silenzio, tempo e pensiero.
Un’eredità che diventa testamento
Nel ruolo di Leibniz troviamo un magnifico Edgar Selge, capace di restituire l’umanità concreta di un pensatore spesso cristallizzato nei libri di storia. Aenne Schwarz offre una straordinaria interpretazione nel ruolo di Aaltje, intensa e carica di introspezione.
Accanto a loro Lars Eidinger, Michael Kranz, Antonia Bill e Barbara Sukowa, musa di Reitz dai tempi di Heimat, qui presente in un ruolo che sa di complicità e commiato.
Questo film non è solo un racconto in costume. È il testamento artistico di un regista che ha dedicato la vita a insegnare che il cinema è memoria, responsabilità e poesia.
Perché vederlo
Perché Leibniz – Chronicle of a Lost Painting è un film raro: coraggioso, lucido, profondamente umano.
Perché non tratta lo spettatore come un consumatore, ma come un compagno di viaggio.
Perché restituisce fiducia nel cinema come atto di conoscenza e non solo di narrazione.
Perché parla dell’arte come necessità, e della ricerca della verità come missione possibile.
Perché è l’ultimo gesto di un maestro: un film che non si guarda soltanto, si contempla.
E perché, oggi più che mai, abbiamo bisogno di immagini che non consumino, ma illuminino.
Perché, cerca la complessità, la bellezza, la luce interiore. È un cinema che pensa e che commuove. Un’opera luminosa e necessaria, capace di ricordarci che il senso delle cose non sta dove siamo abituati a guardare. Un film rarefatto ma trascinante, che conferma Reitz come uno degli ultimi grandi maestri europei. Un cinema che dipinge l’invisibile.
Anna Rita Santoro




















