Ventisei anni fa, sembra ieri, il ricordo ancora vivo della dichiarazione di morte di Ilaria Alpi, una struggente notizia che ha infranto il cuore di milioni di italiani e, che lo strugge ancora, non essendoci oggi, una verità sulla tragedia di Mogadiscio. Il 20 marzo del 1994, la Alpi e Hrovatin vengono trovati morti,uccisi senza pietà, con un colpo d’arma da fuoco alla testa, nei pressi dell’ambasciata italiana a Mogadiscio, mentre facevano ritorno dalla città di Bosaso.Per lungo tempo La famiglia della reporter si è battuta con forza contro i depistaggi sugli omicidi. Inizialmente, l’arresto è avvenuto per Hashi Omar Hassa, cittadino somalo finito dietro le sbarre da innocente, che ha scontato ingiustamente 17 anni di carcere. Siamo ormai nel 2020,nei prossimi giorni, la Procura di Roma potrebbe esprimersi: sapremo allora, la sussistenza di reali novità investigative tali da rimettere mano sull’inchiesta o se invece i magistrati sceglieranno la strada del silenzio con una richiesta di archiviazione.
Un quarto di secolo e piu’, e’ trascoro senza scoprire chi furono i mandanti dell’inviata del Tg3 ed il suo operatore, freddati a colpi di kalashnikov. Ma soprattutto chi, in un secondo momento, ha fatto in modo che il caso venisse arricchito da depistaggi, ostacolando la verità. Perchè? Armi e rifiuti tossici, erano questi i temi al centro delle indagini che Ilaria Alpi stava compiendo nei primi anni Novanta, nelle quali era stata scoperta la presunta complicità dei servizi segreti italiani. Dopo un’intervista al sultano di Bosaso che riferì all’inviata di presunti rapporti intercorsi negli anni Ottanta tra alcuni funzionari italiani e il governo di Siad Barre ,come non per caso, Ilaria verra’ uccisa poche ore dopo.
In una prima consulenza era emersa l’ipotesi dei colpi esplosi a distanza, successivamente si parlò di una vera e propria esecuzione. Tentativi di occultare la verità?
Oggi giunge in concomitanza del tragico anniversario, c’e’ il termine disposto dal giudice per le indagini preliminari di Roma, Andrea Fanelli, che lo scorso ottobre, nel respingere la terza richiesta di archiviazione presentata dalla procura ha disposto nuovi accertamenti investigativi da svolgere in 180 giorni. La speranza di molti è che in questi sei mesi la Procura di Roma abbia raccolto elementi, per chiarire una volta e per tutte lo scenario reale di quanto accaduto a Mogadiscio, tali da permettere la riapertura d’inchiesta che magari, altri vorrebbero chiusa e, senza colpevoli.