ROMA, REBIBBIA – Attendendo la marcia per l’amnistia, l’indulto ed il ripristino dei diritti umani nelle carceri che si svolgerà a Roma il 22 settembre, prosegue l’inchiesta sul caso Sammarini. Pare che il detenuto abbia firmato il contratto per la pubblicazione del libro scritto prima di essere condannato a 6 anni di reclusione per violenza sulla ex moglie e maltrattamenti, un caso che, ad un anno dalla sentenza, ancora fa accendere dei dubbi. In effetti, secondo quanto dichiarato dal detenuto in una lettera del 28 agosto 2024, dal documento della Sentenza di Cassazione, si evincono delle incongruenze: “Il 21 dicembre 2019, la donna si recò nel luogo degli arresti domiciliari dell’imputato per verificare se lo stesso fosse ancora innamorato di lei”. Ma se la donna dipinge Sammarini come un mostro, con quale coraggio si presenta dietro la porta di casa della madre del detenuto supplicandolo di aprirle con tanto di ordinanza restrittiva? La risposta potrebbe essere scontata quanto esaustiva, la donna non aveva paura.
Più avanti, sempre nella sentenza di cassazione si evince che nel ricorso non figurano critiche specifiche di legittimità alle motivazioni della sentenza d’appello, aggiungendo che, in questa sede, non è consentita una rivalutazione dei fatti. Subito dopo si legge: “La decisione della Corte di Appello contiene ampia e adeguata motivazione senza contraddizione e senza manifeste illogicità. Sulla responsabilità del ricorrente e sulla piena attendibilità della donna”. A tal proposito, nella lettera pervenuta al giornale, Sammarini ci invita a leggere la fase dibattimentale del processo, per renderci conto delle volte in cui la sua ex moglie si sia contraddetta e sia stata contraddetta, dimostrandosi inattendibile. Inoltre, contrariamente a quanto emerge dalla sentenza, pare che Sammarini abbia sempre contestato sia i maltrattamenti che la violenza sessuale. Qual è quindi il dubbio che sale a fronte di tutto ciò? Che nei gradi precedenti ci si sia limitati a considerare gli elementi che confermavano l’ipotesi accusatoria, tralasciando quelli che mettevano in discussione l’attendibilità della parte offesa.
In un’altra parte della sentenza si legge che le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamenta dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, previa verifica, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità del suo racconto. Questo tipo di verifica, secondo quanto dichiarato dal detenuto, non è mai stato effettuato, pur essendo posto a fondamento della procedura e, di prove che avrebbero smontato quella credibilità, pare siano state prodotte ma, la Corte d’Appello in cui Marco Sammarini riponeva grande fiducia, pare si sia limitata ad uno striminzito copia e incolla della sentenza di primo grado.
Ma in tutto ciò, che ruolo hanno in questo caso gli assistenti sociali? Sicuramente quello di non aver adempiuto al proprio dovere, non avendo permesso a Sammarini di rivedere i propri figli, nonostante la sentenza del tribunale intimasse il contrario. Secondo quanto dichiarato da uno di essi in aula, parrebbe che l’ex moglie, in occasione di una prima denuncia, disse al suo primogenito (figlio che la donna ebbe da ragazza, da una precedente relazione a quella con Marco) di fare sua una lettera in cui accusava il patrigno di maltrattamenti, per poi ritirarla in seguito ammettendo che era stata solo una sua idea. Appurato che la donna assumesse regolarmente psicofarmaci e, appurato che la donna andasse da circa 30 anni in cura da uno psichiatra (precedentemente condannato per false perizie e ritenuto paradossalmente il teste di maggior rilevanza del processo) con diagnosi di narcisismo patologico e sindrome di borderline, ci poniamo delle domande riguardanti l’assurdità dei fatti, di quanto sia illogico che, vista l’evidenza , non siano state approfondite le prove da parte del Tribunale della sentenza di Cassazione.
C’è un altro fatto, molto importante, su cui andrebbe accesa non una lanterna, bensì un faro: dalla stessa sentenza si evince come la donna, di fronte all’atto di violenza, non abbia opposto resistenza per paura di svegliare, con le proprie urla, il figlio che dormiva nella stanza attigua. Peccato che la mattina di quel 12 febbraio 2018, pare che il bambino fosse a scuola.
A questo punto, considerata l’impossibilità nella riapertura del caso, Sammarini decide quindi di continuare a lottare attraverso la pubblicazione del suo manoscritto affinché la sua esperienza possa essere considerata la punta di un iceberg rispetto a tantissimi altri casi di ipotetiche false accuse. A tal proposito, il detenuto conclude la sua lettera scrivendo: «Non so dirvi se agli occhi del mondo ce la farò a ripulirmi dal fango che mi è stato buttato addosso, vorrei però che questa esperienza servisse a mettere in guardia chi non considera le possibili e devastanti conseguenze di una falsa accusa».