Anche la violenza economica rappresenta una delle rievocazioni della violenza di genere, la stessa si concretizza in una pluralità di condotte dirette a limitare o negare l’autonomia materiale e decisionale delle persone vulnerabili, compromettendone la capacità di autodeterminazione e, di conseguenza, di fuoriuscita dalla relazione abusante.
Prende forma attraverso reale controllo esclusivo di tutte le risorse economiche della famiglia, nel caso specifico è fondamentale andare a riconoscere che non si tratta di semplici litigi o incomprensioni che vanno a riguardare la gestione delle spese domestiche, ma più propriamente di vere e proprie condotte precise e ordinate dirette a consolidare una disarmonia di potere e legame economico, principi che caratterizzano questa forma di abuso.
Sebbene l’attenzione pubblica e normativa si sia storicamente concentrata sulle violenze fisiche e sessuali, negli ultimi decenni e stata riconosciutala violenza economica quale componente strutturale della violenza domestica e di genere.
Già le Nazioni Unite, nell’ambito della Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne del 1993, richiamavano la necessità di contrastare ogni forma di coercizione economica. Successivamente, la Convenzione di Istanbul del 2011, ratificata dall’Italia con legge n. 77 del 2013, all’articolo 3 definisce la violenza domestica come “tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica” compiuti all’interno della famiglia o del nucleo domestico. Si tratta di un passaggio di rilevanza sistematica: la Convenzione introduce un obbligo positivo in capo agli Stati membri di adottare politiche integrate di prevenzione, protezione e perseguimento della violenza economica, oltre a misure di sostegno all’autonomia delle vittime.
Anche l’Unione Europea, attraverso la proposta di Direttiva del 2022 sulla lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, ribadisce l’importanza di riconoscere l’abuso economico tra le condotte lesive da contrastare in modo coordinato.
Tutti questi strumenti sovranazionali contribuiscono a tratteggiare un quadro di tutela che supera la dimensione meramente patrimoniale per valorizzare la connessione tra indipendenza economica e libertà personale.
In Italia, il riconoscimento giuridico della violenza economica è stato tradizionalmente frammentato ed implicito: essa può costituire una modalità di realizzazione di fattispecie penali quali maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) o violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.), nonché integrare gli estremi per l’adozione di ordini di protezione di natura civile. Tuttavia, l’ordinamento italiano riconosce in via generale il principio di pari dignità e autonomia economica dei coniugi e dei conviventi, sancito dall’articolo 3 della Costituzione e declinato nel Codice civile negli articoli relativi ai diritti e doveri reciproci nell’ambito familiare (artt. 342 bis c.c. e 342 ter c.c.). Tali riferimenti costituiscono il presupposto normativo per l’individuazione di strumenti di tutela efficaci poiché la violenza economica non si configura come un reato autonomo.
La persona offesa sperimenta una progressiva erosione della propria autostima e un vissuto di impotenza, compromettendo la capacità di reagire e chiedere aiuto. È proprio questa componente invisibile e silenziosa a rendere la violenza economica tanto insidiosa e pervasiva: un insieme di condotte reiterate che, pur non lasciando segni evidenti sul corpo, determinano un grave pregiudizio alla libertà e alla dignità della persona. Si rende dunque fondamentale promuovere un avvicinamento culturale e giuridico che consenta di riconoscere velocemente e facilmente i segnali di tale violenza andando di conseguenza a potenziarne tutti gli strumenti di prevenzione al fine di garantire il rispetto dei diritti fondamentali di ogni individuo
Di rilevante importanza sono i lavori portati avanti dalla Commissione parlamentare bicamerale di inchiesta sul Femminicidio e ogni forma di violenza di genere



















