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Già duramente additata dall’avvocato Priolo: “Marianna Madia, un nome, una fesseria”

Tutte le lacune della Ministra Madia, già individuate dall’avv. Carlo Priolo in un articolo del 2014

Maura Capuano by Maura Capuano
18 Febbraio 2021
in Editoriale
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Riportiamo integralmente un articolo già pubblicato sul Quotidiano delle libertà da Carlo Priolo, il 15 luglio 2014:                                                    

L’avete ascoltata alla conferenza stampa di presentazione della rivoluzione copernicana della Pubblica amministrazione?

Sembrava di sentire una maestrina elementare degli anni Settanta, progressista e antesignana dell’insegnamento dell’educazione civica, che spiega ai bambini di 9 o 10 anni che la P.A. (concetto già di per sé difficile) deve essere al servizio dei cittadini-utenti e non di ostacolo. Abbattere le lunghe file, le odissee di pellegrinaggi tra uffici che, secondo il principio della competenza, rifiutano il richiedente aiuto e lo destinano a vagare in lungo e in largo per giorni e giorni alla ricerca di chi dovrebbe essere competente.

La ministra si dovrebbe far consigliare dal dottor Bruti Liberati, almeno sul versante dell’organizzazione degli uffici, sulle questioni delle competenze, sulla assegnazione dei fascicoli ai vari uffici, sui flussi di lavoro, sulla predeterminazione dei criteri di assegnazione, alla luce dei quali risolvere potenziali conflitti di competenza. Una interlocuzione utile con un professionista di altissimo valore e vasta competenza. E ancora l’interlocuzione con l’illustrissimo magistrato presenta un valore aggiunto: non è di parte, non è organico ad alcun partito o movimento di area politica, è neutro, autonomo, indipendente e svetta nell’olimpo delle scelte e decisioni irreprensibili. Insomma un maestro in tutti i sensi. Abbeverarsi ad una così tal fonte è cosa buona e giusta.

Eh sì perché, giovane e cara Ministra, lei avrebbe bisogno di un po’ di sana formazione sul tema antico e complesso della Pubblica Amministrazione meglio dell’organizzazione istituzionale dello Stato italiano, affrontato già dopo la nascita della Repubblica da illustri studiosi: Sandulli, Giannini, Cassese.

Pensare che nel testo L’amministrazione pubblica in Italia a cura, appunto, del professor Sabino Cassese, si parlava della lentezza dell’azione amministrativa e dei residui passivi, termine poco noto al vasto pubblico, ma significativo sulla capacità di spesa da parte degli enti pubblici. Dell’accorpamento dei Comuni al di sotto dei 1000 abitanti ne parlava anche Andrea Villani, nell’opera “Le strutture amministrative locali” edita nel 1968, scritta per la collana I.S.V.E.T.  (Istituto per gli studi sullo Sviluppo Economico e progresso Tecnico), in particolare delle dimensioni territoriali degli enti e della ottimizzazione dei servizi erogati. Ancor prima di loro ci aveva pensato Max Weber, insieme a Karl Marx ed Émile Durkheim. Weber è considerato uno dei padri fondatori dello studio moderno della sociologia e della Pubblica amministrazione; della burocrazia e dello Stato razionale e legale nei paesi occidentali e sembra che la giovane ministra non ne conosca neppure il nome. L’anagrafe delle persone è sicuramente segno di vitalità e dinamismo, ma non assicura l’equazione: giovinezza uguale sapere. Basterebbe prendere atto che il ‘decentramento’ (il rapporto ravvicinato tra cittadini e Pa) è fallito e ha aperto il buco del debito pubblico, oltre a decapitare la capacità e rapidità della decisione che è il fulcro della economia e dell’azione del governare, nonché della creatività organizzativa per l’efficienza e la qualità dei servizi.

Un altro testo sarebbe utile consultare ovvero La sfida americana di Jean-Jacques Servan-Schreiber. L’Italia economica precipita, quella politica è imputata di bancarotta fraudolenta, la notte della Repubblica degli anni di piombo subisce la flessione degli indici di borsa e le bolle speculative, la Pubblica amministrazione sperpera 800 miliardi l’anno, con servizi inefficienti, duplicazione di compiti, adempimenti pazzeschi, con enti e agenzie costituite per le clientele di ogni colore. Quarant’anni di bilanci in passivo, proliferazione di uffici inutili, una benefica parentopoli di fannulloni garantiti, dispersione di competenze, duplicazione di compiti.

Governatori e sindaci, non sapendo fare di meglio, scendono in piazza contro le manovre del Governo. Quando arrivano i tagli allo sperpero dei soldi dei cittadini pongono l’alibi dei servizi sociali e degli asili nido, che costituiscono un minimo nei bilanci dei Comuni. Nel privato, un amministratore che tiene i conti in rosso viene licenziato; governatori e sindaci vengono rieletti. Non ci sono solo venti regioni, 107 Province e 8.092 Comuni, ma anche 5.512 società partecipate o controllate dagli enti locali a garanzia del decentramento, della democrazia diretta, della difesa del particolarismo, senza la necessità di rendiconti ed in perenne posizione debitoria. Viene respinta anche la possibilità di ridisegnare i confini della competenza territoriale secondo comuni regole di economie di scala e di ottimizzazione dei servizi. Non si capisce o si capisce troppo bene, perché quando un imprenditore chiude la fabbrica in assenza di utili, da parte dei sindacati e delle opposizioni si grida allo scandalo, alla incapacità dell’imprenditore a rendere redditizia l’azienda, alla totale irresponsabilità nel mettere a rischio posti di lavoro. Governatori di Regioni, presidenti di Province e sindaci di Comuni, sono assolti da tali accuse.

Carissima ministra, pensi soltanto che per coprire il fallimento della struttura amministrativa dello Stato che dovrebbe garantire rispetto delle regole, efficienza ed efficacia della azione pubblica, salvo la commissione di reati che è compito della magistratura, si sono inventati un’altra pletora di carrozzoni: le Authority. Sono tante, forse troppe. E tranne la Consob, che regola la Borsa e i mercati finanziari, delle altre non si sa quasi nulla, a malapena se ne conosce l’esistenza. Ogni Authority è indipendente e ha potere di vigilanza nel suo settore di competenza. A partire dagli anni ’90, si è verificata una proliferazione di agenzie sulla base del principio della delega dei poteri: Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche (2009); Autorità di regolazione dei trasporti; Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (2001); il Garante per la protezione dei dati personali (istituito nel 1996); l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (1990); nel 1997 è nata invece l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom); l’Agenzia per l’Italia digitale, le Autorità garanti del contribuente per il fisco e la burocrazia, quella per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, la Commissione di garanzia dello sciopero, quella di vigilanza sui fondi pensione e l’Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico. Non si tratta tecnicamente di un’authority, ma si può aggiungere a questa lista per le funzioni che esercita, il Commissario straordinario per la revisione della spesa Carlo Cottarelli, che ha il compito di formulare un piano di proposte sulla gestione della spending review. E infine l’Autorità Nazionale Anticorruzione, con la nuova nomina del magistrato Raffaele Cantoni. Per non parlare dell’Equitalia, una associazione a delinquere di stampo burocratico.

Veda cara ministra, raccontano che un tempo nella prima Repubblica c’era il Governo, con le articolazioni periferiche (provveditorato agli studi, alle opere pubbliche, prefetture) e a livello locale Province e Comuni. Tutto qui. E se qualcuno non svolgeva il proprio lavoro c’erano le note di demerito e nel caso di reati i tribunali. Gli Enti pubblici vanno aboliti perché non pagano i loro debiti e sono la causa prima della crisi per le imprese ed i cittadini.

 

 Maura Capuano

 

 

Maura Capuano

Maura Capuano

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