Inflazione sradicata fa crollare povertà in Argentina
In Argentina s’intende povertà quando una famiglia non riesce a comprare beni di base per l’importo di 342.370 pesos (dato aggiornato al febbraio scorso), pari a circa 313 dollari.
Finora c’era stata una narrazione globale, secondo la quale Milei avrebbe sì quasi del tutto sconfitto l’inflazione, ma a discapito delle condizioni di vita dei cittadini. Sta emergendo una realtà opposta. L’attuale presidente ha abbattuto la crescita dei prezzi al consumo al 118% in media nel 2024 dal 211% del 2023. E l’OCSE la prevede al 28,4% per quest’anno.

L’inflazione mensile ereditata nel dicembre del 2023 era del 25,5%, crollata al 2,4% nel febbraio scorso e dall’ottobre scorso ormai sotto il 3%. Gli analisti stimano un crollo su base annuale a marzo al 23,3% dal 66,9% del mese precedente. Nell’aprile dello scorso anno, aveva superato il 292%. Nel frattempo, sempre Milei ha centrato un altro obiettivo storico: riportare i conti pubblici in attivo. Nel 2024 il bilancio dello stato ha registrato un piccolo surplus fiscale anche dopo il calcolo della spesa per interessi.

Austerità e lotta all’inflazione con crescita del Pil
L’austerità fiscale non ha colpito la crescita economica così brutalmente come si temeva. Il Pil è tornato a crescere già nel terzo trimestre del 2024. Nell’intero anno, è diminuito dell’1,8%, la metà di quanto stimato inizialmente dagli analisti internazionali. Per quest’anno la banca centrale prevede una crescita prossima al 5%. E l’ottimismo sale di mese in mese. A gennaio, l’attività economica è lievitata del 6,5% su base annua, registrando il terzo aumento tendenziale e il quarto congiunturale consecutivi. A conti fatti, da quando Milei è diventato presidente le dimensioni dell’economia argentina sono cresciute dello 0,6% al 31 dicembre scorso e la povertà si è ridotta.

Sempre nel quarto trimestre dello scorso anno, le partite correnti hanno chiuso in attivo per 1 miliardo di dollari dai -2,67 miliardi di un anno prima. Un dato che sintetizza la crescita delle esportazioni e l’attrattività dei capitali dall’estero. Com’è stato possibile un simile miracolo in così breve tempo? Milei sta dimostrando ai governi di tutto il mondo che il gradualismo in politica economica non paga.
Riforme veloci e anche brutali servono a somministrare quella “terapia shock” capace di rivoltare una nazione come un calzino.
Lotta al parassitismo sociale
Soprattutto, Milei sta svelando che austerità e lotta all’inflazione non sono nemiche della crescita. Lo sono gli eccessi di spesa pubblica, che finiscono per essere monetizzati dalle stamperie della banca centrale e per paralizzare l’attività economica tra instabilità dei prezzi e disordine fiscale. La stessa povertà in Argentina era esplosa proprio per effetto dell’alta inflazione, oltre che della bassa attività economica. Il governo sta facendo l’esatto contrario dei decenni passati: mettere al centro la creazione della ricchezza e sradicare il parassitismo sociale, alimentato da sussidi e spesa pubblica improduttiva.
Mercati e famiglie stanno dando fiducia a Milei, come segnalano i sondaggi sulla sua popolarità e persino il tasso di cambio sul mercato libero. Oggi un dollaro si scambia contro 1.325 pesos, segnalando uno scostamento del 20% rispetto al cambio ufficiale. Prima del suo arrivo alla presidenza, la distanza era tripla. Nell’ultimo anno, il cambio libero perde il 24%, che è persino poco per una valuta travolta da anni di inflazione a tre cifre. Tant’è che il timore adesso è che possa risultare sopravvalutata e deprimere la competitività delle imprese e, quindi, anche le esportazioni all’estero.
Calo povertà in Argentina prima delle elezioni
Il calo della povertà in Argentina potrebbe rivelarsi decisivo quest’anno per il rinnovo del Congresso. Milei governa senza una propria maggioranza autonoma, affidandosi agli alleati del centro-destra tradizionale. Se il suo partito La Libertad Avanza riuscisse a guadagnare numerosi seggi senza che le opposizioni peroniste riconquistino la maggioranza, il suo margine di manovra aumenterebbe e con esso la celerità delle riforme promesse in campagna elettorale. Soprattutto, una vittoria attirerebbe ulteriore fiducia tra gli investitori circa il futuro a medio-lungo termine dell’economia sudamericana. Il Fondo Monetario Internazionale deciderà nelle prossime settimane sull’erogazione di nuovi prestiti per 20 miliardi di dollari. L’annuncio del ministro dell’Economia, Luis Caputo, conferma una nuova era nei rapporti tra Buenos Aires e gli organismi finanziari.

Trattative in pieno svolgimento per la nascita del nuovo governo in Germania, ma Friedrich Merz dovrà probabilmente attendere che passi la Pasqua per diventare cancelliere. E rischia di arrivarci già consumato dal negoziato con i socialdemocratici e oggetto di sfiducia da parte dei suoi stessi elettori. Un sondaggio Forsa di martedì dava al suo partito di centro-destra CDU/CSU il 25% contro il 24% dell’AfD, il partito della destra euroscettica e sovranista. A seguire i futuri alleati dell’SPD con il 15%, i Verdi al 12% e i post-comunisti di Linke al 10,5%. [sommario]
Debito e riarmo nel mirino dell’opinione pubblica in Germania
Alle elezioni federali del 23 febbraio scorso, meno di un mese e mezzo fa, i conservatori ottennero il 28,5% contro il 20,8% dell’AfD, il 16,4% dell’SPD, l’11,6% dei Verdi e l’8,8% della Linke. In poche settimane, quindi, i due partiti che daranno vita alla prossima Grande Coalizione hanno perso complessivamente intorno al 5% dei consensi. Insieme, ottengono appena il 40%. Viceversa, AfD e Linke insieme guadagnano esattamente quel circa 5% perso dai due schieramenti tradizionali. Si tratta dei soli due partiti presenti sia nel vecchio che nel nuovo Bundestag ad avere votato contro la riforma costituzionale sul “freno al debito”. I due sono anche contrari al sostegno all’Ucraina e la Linke, in particolare, osteggia apertamente il riarmo tedesco. Merz è criticato anche all’interno del suo partito. Johannes Winkel, il leader della CDU giovanile, non ha nascosto le sue perplessità sul piano da 1.000 miliardi di euro di debito in 10 anni. Avrebbe preferito il varo delle riforme per potenziare il tasso di crescita dell’economia tedesca nel medio-lungo periodo. A suo dire, con l’allentamento delle regole fiscali il prossimo governo imboccherà una scorciatoia per non affrontare i nodi strutturali. Critiche che arrivano anche dagli economisti. Il capo dell’istituto DIW, Marcel Fratzscher, ritiene che CDU/CSU e SPD stiano tutelando le rispettive “clientele elettorali”, anziché fare le riforme necessarie.
Conservatori smarriti, AfD capitalizza delusione
Debiti e riarmo, dunque, nel mirino dell’opinione pubblica tedesca. La posizione di Merz è molto delicata, perché proprio i conservatori hanno per decenni avversato il ricorso all’indebitamento e sostenuto politiche di austerità fiscale. Il cambio di linea di 180 gradi non era stato anticipato in campagna elettorale, per cui adesso anche tra coloro che avevano votato il candidato cristiano-democratico, si ritrovano spaesati e indispettiti. L’AfD sta avendo gioco facile a far notare ai tedeschi di essere stati “traditi” dai due principali partiti, i quali si accordano come se nulla fosse, pur essendo usciti bastonati dalle urne con consensi molto bassi. Merz dovrà sperare di riuscire a portare risultati nel più breve tempo possibile, così da dimostrare ai propri elettori di avere compiuta la scelta giusta. Se l’economia tedesca non ripartirà presto, le preoccupazioni prevarranno sull’ottimismo. Il problema è che prima cancelliere lo dovrà diventare. I socialdemocratici gli stanno rendendo la vita difficile, cercando di vendere cara la pelle per consentirgli di formare il nuovo governo. Non accettano tagli alla spesa sociale, che erano stati promessi dal centro-destra. Né vogliono abbracciare la linea dura sull’immigrazione, altra battaglia su cui i conservatori si giocano la faccia.
Merz già impopolare
Gli stessi consensi personali di Merz stanno precipitando. Solo il 28% degli intervistati gli ha espresso fiducia, giù dal 36% di dicembre. Il 70% non lo gradisce come cancelliere, in netto aumento dal 60%. Il debutto è già difficile così. Cosa accadrebbe se i consensi per il suo partito continuassero a scendere e, a quel punto, l’AfD si portasse prima nei sondaggi? Probabile che ci sarebbero ritocchi alla politica sbandierata in queste settimane post-voto. Il freno al debito non verrebbe mollato del tutto. Lo stesso sostegno finanziario all’Ucraina potrebbe ridimensionarsi nel caso in cui le trattative di pace dessero un esito positivo. C’è la forte sensazione che Merz abbia ignorato gli umori del suo stesso elettorato, pur di arrivare alla cancelleria senza faticare. Ha concesso troppo e subito agli avversari dell’SPD e adesso non riesce ad incassare il proprio dividendo. Pur mostrando qualche segnale di ripresa, l’economia tedesca resta in panne. E ieri sono arrivati i dazi di Trump, che avranno effetti su di essa, come sull’intera Europa. Nel frattempo, la Germania è senza guida. Lo sarà per settimane. E fare presto per Merz da un lato è un’urgenza per lanciare la sua leadership all’estero, dall’altro è minata dalla necessità di spuntare dai futuri alleati il massimo risultato possibile. E AfD e Linke puntano già al sorpasso dei rispettivi partiti nella loro area.
Prima che ieri sera il presidente americano Donald Trump annunciasse i nuovi dazi in quello che ha definito “Liberation Day” per gli Stati Uniti, i rendimenti a 2 anni in Germania scendevano sotto la soglia del 2% e ai minimi dal dicembre scorso. Solamente agli inizi di marzo, in piena ripresa dei rendimenti tedeschi ed europei, erano risaliti al 2,27%. Sono arrivati a scendere, quindi, di circa lo 0,30% in meno di un mese. [sommario]
Rendimenti a 2 anni legati a tassi BCE
I rendimenti a 2 anni della Germania fungono da riferimento per le condizioni monetarie nell’Eurozona. Essi risentono in maniera diretta dei tassi di interesse fissati dalla Banca Centrale Europea (BCE), seguendo da vicino l’andamento dell’Euribor a 3 mesi. Questi è sceso a poco più del 2,30% e sconta nei fatti un taglio dei tassi per aprile dello 0,25% con probabilità dell’80%. Movimenti in accelerazione da quando l’altro ieri l’Eurostat pubblicava il dato preliminare sull’inflazione nell’area a marzo, scesa al 2,2% dal 2,3% di febbraio. L’inflazione “core”, al netto di energia e alimentari freschi, è scesa anch’essa dal 2,6% al 2,4% e ai minimi da gennaio 2022; prima che iniziasse la guerra tra Russia e Ucraina. Il taglio dei tassi ad aprile sarebbe tutt’altro che certo. Tra rischi legati ai dazi e possibile surriscaldamento delle aspettative d’inflazione con gli investimenti in deficit per il riarmo europeo, la BCE può benissimo prendersi una pausa e tornare eventualmente a tagliare a giugno. Il mercato non crede a questa ipotesi e punta sul settimo allentamento monetario in 10 mesi. I rendimenti a 2 anni della Germania non sono un segnale a caso. Riflettono la convinzione crescente tra analisti e investitori circa una mossa obbligata di Francoforte per sostenere non tanto l’economia, quanto il riarmo europeo.
Sostegno al riarmo dai falchi BCE
La questione è semplice: solo la Germania e pochi altri possono permettersi di aumentare la spesa militare in deficit. Il rialzo dei rendimenti europei testimonia che per tutti gli altri sarà dura. C’è il rischio che l’Europa non riesca a reagire in maniera appropriata alle minacce esterne. Dunque, la BCE dovrà turarsi il naso e abbassare i tassi per agevolare i piani espansivi dei governi. E non è casuale che a reclamare un nuovo taglio per questo mese sia Olli Rehn, governatore finlandese e componente del board. In teoria, le banche centrali del Nord Europa sono “falchi” per definizione. Ma adesso i nordici temono per i loro confini e aprono sia agli Eurobond che al taglio dei tassi per evitare cedimenti sul piano della sicurezza. Se una parte dei “falchi” propenderà per il taglio insieme alle “colombe”, è fatta. Clamorosa l’esternazione di pochi giorni fa, però, proprio dell’italiano Fabio Panetta. Schieratissimo per abbassare il costo del denaro, questa volta ha avvertito circa la necessità di una possibile pausa, date le incertezze. Un ribaltamento dei ruoli curioso e forse più unico che raro nella storia della BCE. Va detto che tale dichiarazione risale a prima del dato sull’inflazione, sebbene esso non avrebbe mosso più di tanto le posizioni consolidate dentro l’istituto.
Rendimenti in Germania segnale chiaro
Con rendimenti a 2 anni sotto il 2% in Germania, la curva dei tassi tedesca si è fatta molto più ripida. Lo spread 10/2 anni era di appena 39 punti base a fine febbraio. Ieri, risultava di 67 punti. Da allora, infatti, i rendimenti a breve sono risaliti (meno dei rendimenti a lungo) e poi ridiscesi persino sotto i livelli pre-riarmo. I rendimenti a lungo sono rimasti ben sopra questi ultimi, pur arretrando dai massimi toccati a inizio marzo. Le aspettative d’inflazione sono leggermente aumentate e per i governi diventa più oneroso emettere scadenze lunghe. Ciò non depone a favore dell’indebitamento. E tassi più bassi servono a tenere debole l’euro, una necessità in tempi di dazi.