L’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha fornito un’analisi dettagliata e critica delle recenti misure protezionistiche adottate dalla Casa Bianca. In un’intervista rilasciata al quotidiano “Il Tempo”, Tremonti ha descritto i dazi del 25% sull’importazione di auto straniere e del 20% sui prodotti dell’Unione Europea come “estremamente aggressivi e fortemente connotati in senso ideologico”.
Secondo l’economista, questi provvedimenti rappresentano una svolta epocale, segnando di fatto la “fine dell’era della globalizzazione”. Tremonti ha ricordato come già negli anni ’90 avesse messo in guardia sui rischi di un’espansione commerciale incontrollata a livello globale. Nel 1994, in occasione della firma degli accordi del WTO, egli aveva previsto che i capitali sarebbero confluiti in Asia, mentre l’Occidente avrebbe dovuto fare i conti con l’importazione di povertà, con la classe lavoratrice americana ed europea che avrebbe perso posti di lavoro o subito riduzioni salariali a causa della competizione internazionale.
Secondo l’ex ministro, questi effetti negativi sono diventati sempre più evidenti, fino a sfociare nella crisi dei mutui subprime del 2008 e nella disperazione della working class americana, come descritto nel recente libro di J.D. Vance. Tremonti ritiene quindi che i dazi varati da Trump siano una sorta di “risarcimento” per i danni subiti da ampi strati della popolazione a causa della globalizzazione sfrenata.
In questo contesto, Tremonti suggerisce all’Unione Europea di non rispondere immediatamente in maniera avventata, ma di condurre piuttosto un attento bilancio complessivo dei rapporti commerciali con gli Stati Uniti, tenendo conto non solo degli scambi di merci, ma anche dei servizi e della finanza. Egli ritiene che l’UE debba abbandonare il suo “barocco” approccio regolamentare e puntare maggiormente sulla libertà economica per affrontare questa delicata situazione.
In definitiva, l’ex ministro vede nei dazi di Trump un tentativo di “deglobalizzazione”, ovvero di spostare nuovamente i centri di convenienza produttiva verso il mercato interno americano, in reazione ai decenni di espansione economica globale.