Anche quest’anno, con l’arrivo di Pasqua, ritorna la solita ed oramai estenuante diatriba alimentare: da una parte gli onnivori, i carnivori, i libertari ideologici, i seguaci biblici del consumo cristiano proteico e dall’altra i vegani, i vegetariani, i fruttariani, adepti di un’ideologia di tutela dell’ambiente ai limiti del panteismo.
Partendo dalla pleonastica affermazione che ogni azione e ciascuna abitudine siano legittime – purché, naturalmente, non ledano l’altro e non sfocino nell’illegalità – è incredibile come, nonostante il sottoscritto abbia giudicato lapalissiano il presupposto appena enunciato, ci sia una miriade di persone pronte a diffondere fanaticamente il proprio principio, ignorando del tutto la libera scelta altrui.
Giovedì sera, nell’ultima parte del programma *Dritto e Rovescio*, il giornalista e conduttore Paolo Del Debbio cercava di barcamenarsi nell’azzuffata di voci che vedeva protagonisti un onesto macellaio, il provocatorio e “carnivorista” Giuseppe Cruciani, contrapposti a una scrittrice e a un attivista sostenitori dell’ideologia vegan.
Non è una sorpresa assistere a un talk show e vedere un lancio disordinato e spesso poco sportivo di opinioni, ma riconstatare per l’ennesima volta l’ostinata volontà della frangia vegana di soffocare la libera espressione ideologica ed alimentare altrui, mi ha provocato un indefinibile vortice di fastidio.
Nel partecipare a determinati dibattiti o nell’osservare gli attori protagonisti, ci si aspetterebbe che la fazione di quelli difensori della vita possa essere più pacifica e rispettosa della libertà altrui, rispetto ai cosiddetti “mangiatori di cadaveri”. Eppure, quasi ogni volta, avviene il contrario. Durante la trasmissione di Rete 4 infatti, mentre da una parte gli onnivori pretendevano libertà di azione ed esibivano una certa stanchezza nel sentirsi quotidianamente giudicati e mortificati, dall’altra i vegani pur di sostenere le loro fanatiche tesi procedevano ad accuse inaccettabili al limite dell’offesa alla sensibilità umana.
Ora, dato che il conservatorismo del sottoscritto spesso si scontra con le sue passioni, tengo a precisare una posizione che spero possa offrire uno spunto a chi è interessato alla sfiancante lotta tra certe fazioni alimentari.
Nonostante sia una guardia zoofila volontaria presso la provincia di Roma, e sebbene a modo mio mi reputi “animalista” (se ad animalista si lega la sfera semantica che intende il sottoscritto, ovvero quella dell’amore e del rispetto verso la cultura piuttosto che la vita animale), sono completamente onnivoro. Tuttavia, il mio onnivorismo non mi ha mai impedito di studiare gli animali, diventarne loro difensore fino a prestare un giuramento in questura, detenere cani come fratelli dalla nascita, salvare qualsiasi animale domestico in difficoltà, esaltare le qualità e le caratteristiche di ogni specie selvaggia fino a decantarla in ogni possibile forma scrittoria, e di commuovermi davanti alle sofferenze di un animale, a volte in maniera più esibita e singhiozzante rispetto a quelle umane.
Eppure, siccome vi è la tendenza a giudicare di serie B “l’animalista” o amante degli animali polifagista, ho dovuto spesso spiegare ad alcuni fanatici del veganesimo come possano tranquillamente convivere i miei principi di animalismo e onnivorismo. Il discorso, infatti, necessita di chiarezza, franchezza e coerenza. Partendo da quest’ultima posso dire agli amici vegani che tutti noi esseri umani siamo inconsapevolmente incoerenti. E questa contraddizione totale e indiscriminata di azioni e pensieri mi rende, se non piacevolmente, sicuramente inconsciamente sereno mentre mangio una costoletta.
Per spiegarmi meglio: è innegabile affermare che un animalista vegano è più coerente rispetto a me. Ma dato che la coerenza non ha gradi e sfumature nel giudizio umano, è altrettanto inconfutabile riscontrare la stessa ipocrisia nei difensori vegan degli animali. Non credo infatti che tutti loro non scaccino mai un’ape o un calabrone, non uccidano le fastidiosissime zanzare estive, non utilizzino nessun cosmetico, non assumano farmaci, non si siano fatti genuflettere alla vaccinazione obbligatoria, non indossino vestiti o accessori contenenti anche la minima parte animale. Sfido ogni lettore a trovare un fanatico green di simile e totale coerenza scevra da ogni umana ipocrisia: sarei pronto a incentivarne la canonizzazione in vita.
Per quanto concerne il taglio prettamente scientifico, per il quale non posseggo utili competenze (a differenza di molti fanatici che diffondono studi come se li avessero elaborati loro stessi), è chiaro riscontrarne una divisione di esperti: quelli a favore del veganesimo, che riscontrano un’inclinazione tumorale dell’organismo abituato a cibarsi di proteine animali, e quelli, al contrario, scettici della scarsa nutrizione vegana o fruttariana, saldamente ancorati al principio del benefico e totalizzante regime alimentare tradizionale.
Eppure, da umanista estraneo alle vicende scientifiche, vorrei porre un quesito: siamo sicuri che, se dai primordi l’essere umano si fosse cibato solo di sostanze vegetali, avrebbe poi subito quella straordinaria evoluzione psicofisica da renderlo razza animale dominante o avrebbe costituito ad oggi una popolazione mondiale di più di 8 miliardi di persone?
Dal punto di vista poi prettamente socio-economico, non si può continuare a nascondere l’accrescimento di determinate concezioni alimentari alla contemporanea condizione di benessere. Il facile accesso alle cibarie consente inevitabilmente una selezione, e con essa un giudizio dei vari componenti alimentari con i quali costituire filosoficamente una credenza utile a distaccarsi dalla massa: così nasce il vegan pensiero moderno.
Prendete un bambino povero, affamato, cresciuto sotto la Seconda guerra mondiale, e ditegli di rifiutare delle uova regalate dal vicino ancora abbiente o di gettare la pasta condita da qualche ritaglio di pollo al sugo, perché contrario ai principi etici della sensibilità animale. Oppure andate da qualche fanciulla povera dell’Africa più disgraziata ad impedirle di mangiare qualche avanzo animale, perché diverrebbe una mangiatrice crudele di cadaveri.
La povertà forgia la fame e con essa, per il quotidiano sostentamento, non si può filosofeggiare: va risolta, e una volta saziata, ricordata e rispettata nelle future scelte alimentari.
Infine, carissima mamma vegana che durante la trasmissione Dritto e Rovescio dicevi di allevare i tuoi figli escludendo dalla loro alimentazione ogni sostanza animale (tremo al pensiero di un pargolo senza latte), vorrei inserirti in una condizione ipotetica: se scoppiasse un cataclisma di qualsiasi tipo e sparissero molte sostanze alimentari, e fosse difficile procurarsi qualsiasi cibo, ti posso assicurare che tu stessa scavalcheresti il giardino del vicino per strangolare a mani nude la gallina più celata, pur di sfamare gli occhioni languidi della tua progenie.
In conclusione, negare che alla fine tutti noi siamo un po’ ipocriti, che il veganesimo diffuso sia il risultato di un benessere moderno, che l’alimentazione onnivora dell’uomo abbia favorito la sua evoluzione e che esistano inevitabilmente delle priorità umane che vengono prima delle – pur nobili – questioni animali, è una visione distorta della realtà.
Perciò, ognuno è libero di fare le proprie scelte alimentari, mangiare ciò che più desidera. Mangiate quel che volete, dai grilli ai semi di chia, ma non attuate nessuna costrizione accompagnandola dal libretto dei principi.
Non accetterò mai che mi venga imposto un regime totalizzante o una filosofia che limiti la mia libertà di pensiero, perché mi opporrò sempre a qualsiasi tentativo di costrizione ideologica. È probabile che troviate chi non si genuflette, chi confuta i vostri dettami e chi, magari, seppur abituato a mangiare qualche bistecca, si sacrificherebbe per il proprio “Fido” scodinzolante molto più di chi fa proseliti.
Il rispetto per gli animali deve andare di pari passo con il rispetto della libertà di scelta, senza dogmi o imposizioni.
Buona Pasqua carissimi lettori, siate liberi di gustare un abbacchio allo stesso modo di un carciofo.