C’è un momento in cui il presente diventa così rumoroso da non lasciare più spazio al pensiero. Un momento in cui tutto cambia troppo in fretta, e nulla si sedimenta. Nel 2025, quel momento è ora.
L’Occidente, intrappolato tra algoritmi identitari e ideologie di superficie, vive una vertigine valoriale. Il postmoderno ha vinto nelle parole, ma ha perso nell’anima. L’identità si disgrega, il sacro si dissolve, la storia si cancella. In questo vuoto, il conservatorismo non è un’ideologia, ma un’ancora. Non è reazione, ma cura. Come scriveva Scruton, “conservare non significa resistere al cambiamento, ma scegliere cosa non deve essere perduto”.
La morte di Papa Francesco, emblema di un pontificato aperto e dialogico, ha lasciato una Chiesa in bilico tra modernità e smarrimento. E se le voci di un successore sulla stessa linea sembrano prevalere, cresce – magari sommessamente – una speranza per un ritorno al rigore spirituale, all’intelligenza liturgica e teologica che fu di Benedetto XVI. I nomi del cardinale Sarah o di Erdö evocano questa speranza di coerenza, più che di reazione. Non per restaurare, ma per rimettere al centro ciò che dà forma alla fede e all’uomo.
Nel frattempo, la politica ha cominciato a parlare un’altra lingua. In Italia, Giorgia Meloni – pur tra contraddizioni – è una delle poche leader europee ad aver restituito dignità ai concetti di patria, radici, differenza, limite. Il suo conservatorismo non è nostalgia, ma riscoperta delle origini come chiave per affrontare il futuro. Non basta? Forse. Ma è una voce distinta nel coro omologato.
Anche negli Stati Uniti, Donald Trump – con tutti i suoi eccessi – rappresenta il volto grezzo ma autentico di una resistenza. Non tanto alla sinistra politica, quanto al progresso ideologico che impone di negare l’evidenza e l’esperienza: che il sesso è reale, che la nazione è un’identità, che la libertà si accompagna alla responsabilità.
Come scriveva Marcello Veneziani, “Abbiamo trasformato il progresso in un assalto alla realtà. Abbiamo smesso di abitare il mondo, per vivere nelle sue rappresentazioni.”
Ed è qui il cuore del problema: oggi tutto è rappresentazione. La realtà è un’opinione, la verità è un’offesa, la tradizione è sospetta. Ma l’uomo non può vivere solo di fluidità. Ha bisogno di forma, limite, sostanza. Non perché vuole tornare indietro, ma perché vuole restare umano.
Il conservatorismo nel 2025 è questo: una battaglia culturale e spirituale per il reale. Non per ripetere il passato, ma per salvare ciò che senza di noi andrebbe perduto: la bellezza del confine, il valore della parola data, la forza della differenza tra uomo e donna, la profondità della fede, anche in chi non crede.
Non ci sono più certezze assolute, dicono. Ma non è vero. Restano le radici, restano i volti, resta la storia. E c’è ancora chi ha il coraggio di custodirli.