Il 9 maggio 1978 è una data incisa a fuoco nella memoria della Repubblica Italiana. Quel giorno, in via Caetani, nel cuore di Roma, venne ritrovato il corpo senza vita di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, assassinato dalle Brigate Rosse dopo 55 giorni di prigionia. Aveva 61 anni. Oggi, 47 anni dopo, l’Italia ricorda uno dei momenti più drammatici della sua storia repubblicana e riflette ancora sul significato profondo del sacrificio di un uomo che cercò il dialogo in un tempo dominato dalla violenza.
Moro fu rapito il 16 marzo 1978, giorno in cui il Parlamento stava per votare la fiducia al primo governo sostenuto da una storica collaborazione tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista Italiano: il cosiddetto “compromesso storico”. Una visione politica coraggiosa, un ponte tra culture ideologiche che Moro aveva pazientemente tessuto, nella speranza di superare la contrapposizione feroce della Guerra Fredda.
Nel suo sequestro, che divenne anche un sequestro di coscienza nazionale, Moro scrisse lettere intense, umane, disperate ma lucide. Si rivolse alla sua famiglia, ai suoi colleghi, ai partiti, alla nazione intera. Chiese una soluzione politica, un gesto di umanità. Non venne ascoltato: Nella sua ultima lettera – scrisse a sua moglie [Bacia e carezza per me tutti, volto per volto, occhi per occhi, capelli per capelli. A ciascuno una mia immensa tenerezza che passa per le tue mani. Sii forte, mia dolcissima, in questa prova assurda e incomprensibile. Sono le vie del Signore. Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo ( Aldo Moro)]. Etica, valori, un uomo per bene.
Il suo assassinio rappresentò non solo una sconfitta per la politica del dialogo, ma una ferita aperta nel tessuto democratico del Paese. Quel corpo, abbandonato in una Renault 4, simbolicamente tra via delle Botteghe Oscure e Piazza del Gesù — le sedi dei due partiti storici italiani — parlava con silenzio assordante di ciò che poteva essere e non fu.
Oggi, la figura di Aldo Moro non è solo quella dello statista, del giurista, del politico. È il simbolo di un’etica civile, di una politica come servizio, di un’intelligenza capace di comprendere le trasformazioni profonde della società e affrontarle con responsabilità. La sua morte, pur atroce, ha contribuito a rafforzare gli anticorpi della democrazia contro la violenza eversiva.
Ogni 9 maggio, l’Italia celebra il “Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo”. Ma ricordare Moro non è solo un dovere civile: è un’occasione per interrogarci ancora su quanto spazio oggi diamo al dialogo, alla mediazione, alla cultura del rispetto.
Perché Aldo Moro non appartiene solo al passato. È, ancora oggi, una domanda aperta al nostro presente.
La scrittrice e poetassa Anna Rita Santoro ha dedicato la sua opera – un libro su Aldo Moro “Prospetto Psicografico di Aldo Moro” e la sua poesia dedicata (all’uomo del tempo gentile “Aldo Moro”).
POESIA di Anna Rita Santoro
Aldo Moro – L’uomo del tempo gentile.
In un’Italia che sognava
tra l’eco di guerra e speranza nuova,
venne un uomo con sguardo di quiete,
dal passo lieve, dalle parole vere.
Lo chiamavano Moro.
Non gridava.
Convinceva.
Costruiva ponti
tra sponde lontane,
tra fedi divise,
tra cuori stanchi.
Ma il tempo urlò.
Un marzo scuro.
Un’Alfa rapita.
Cinque uomini spenti.
Una voce, la sua,
che scriveva dal buio
con inchiostro di luce.
“Non temete per me,” pareva dire,
“ma per ciò che non capirete.”
Scrisse all’Italia,
ma l’Italia
non rispose.
E così morì.
Non solo un uomo.
Ma un’idea:
che il nemico
si può ascoltare,
che lo Stato
non deve gridare,
che la forza
è nella parola che salva
e non nel colpo che cancella.
Aldo Moro,
sei ancora tra noi
nelle domande che evitiamo,
nei silenzi che ci abitano,
nelle lettere
che il tempo
non ha osato bruciare.
E a te, che fosti il centro del dialogo,
rendiamo voce,
perché sia memoria
e non solo
mancanza.
Giornalista Ubaldo