Dopo la svolta mortifera che ha contraddistinto la Consulta a seguito delle sentenze sulla non punibilità (in alcuni casi) del suicidio assistito e dell’appello al legislatore affinché colmi il vuoto in materia, arriva un’altra stangata che pone un successivo tassello allo smantellamento della natura.
Glenda Giovanardi e Isabella Passaglia hanno due bimbi, entrambi concepiti con la procreazione medicalmente assistita. Se per la prima prole era andato tutto liscio (ci dovremmo domandare il perché), per il secondo figlio la Procura aveva deciso di impugnare il certificato di nascita, rifacendosi alla legge 40 del 2004.
La suddetta norma disciplina infatti la procreazione medicalmente assistita (PMA), rivolgendosi alle coppie eterosessuali, maggiorenni, sposate o conviventi, affette da sterilità e infertilità. Vieta al contrario l’accesso alla procedura a single, coppie omosessuali, e a chi ci si rivolge per scopi sperimentali ed eugenetici.
A discuterne la costituzionalità era stato il Tribunale di Lucca, a cui le donne lesbiche si erano polemicamente rivolte a seguito dell’ostacolo della Procura.
Nella sentenza di giovedì, la Consulta ha dichiarato incostituzionale la parte della legge 40 in cui non prevede che si possa registrare come figlio della madre intenzionale, ovvero la compagna lesbica della mamma biologica, il bimbo concepito all’estero tramite questa tecnica e poi partorito in Italia.
Gli ermellini hanno quindi deciso, in barba alla maggioranza parlamentare, di imporre una loro condizione. Se è vero che la “sovranità appartiene al popolo” che deve “esercitarla nelle forme e nei limiti della nostra Costituzione”, come afferma il primo articolo di quella Carta nota ai più come “la più bella del mondo”, è altrettanto indiscutibile che quindici giudici non debbano rifondare i principi di una democrazia.
Infatti, il nostro testo fondativo intende la famiglia come nucleo fondato sul matrimonio: quest’ultimo è definito, per ulteriore conseguenza costitutiva, come atto di unione tra uomo e donna.
Questo però non vale per i giudici che sulla Costituzione dovrebbero sorvegliare, in quanto hanno deciso che una coppia lesbica può, aggirando la legge italiana, recarsi all’estero per sottoporsi a pratiche da noi illegali. Tale missione è ammissibile, in quanto la Consulta ha deciso di creare la figura della mamma “intenzionale” accanto a quella biologica: in pratica, la mamma non è solo quella che ha tenuto in grembo per 9 mesi e partorito il bimbo, ma anche la compagna che ha condiviso la procreazione.
Questa inconcepibile sentenza viene giustificata dalla Consulta in quanto “la Costituzione non abbraccia solo famiglie composte da coppie di sesso diverso”, e ribadendo una sentenza del 2010 aggiunge inoltre che “la concezione della famiglia deve tenere conto dell’evoluzione della società”.
Quindi, cosa ne facciamo dell’articolo 29 della Costituzione che definisce la famiglia? E perché non si ritocca l’articolo 143 del Codice Civile, che menzionando i doveri del matrimonio stabilisce l’unione “moglie e marito”?
Come al solito, la nebbiosa aria ultraprogressista dominante pervade e prevarica anche i limiti costituzionali e fondativi, per non parlare di quelli naturali.
Quello che però sorprende è che, nella stessa giornata, la Consulta, con un altro pronunciamento relativamente alle donne single, dice che il divieto d’accesso alla PMA “non è del tutto irragionevole e sproporzionato”, in quanto “la scelta di non avallare un progetto genitoriale che conduce al concepimento del figlio in un contesto che esclude la figura del padre è riconducibile al principio di precauzione per i futuri nati”.
Quindi, è legittimo che un bambino abbia due madri lesbiche, ma non è possibile che una donna single acceda alla fecondazione assistita, in quanto sarebbe meglio che fosse presente anche una figura paterna.
Che paradosso è questo? Com’è possibile che il massimo organo di sorveglianza costituzionale entri nel principio di contraddizione? Sarebbe veramente inverecondo constatare che determinate decisioni, così come gli assensi sul fine vita, fossero figlie dell’ultra ideologismo arcobaleno. Se il diritto deve accompagnare infatti l’essenza naturale, quest’ultima continua ad essere dal primo deturpata, derisa e umiliata.
Inoltre, vale la pena ricordare che la legge 40 del 2004 è stata sottoposta già nel 2005 al referendum abrogativo. Il quesito agli italiani risultò però invalso, in quanto non si raggiunse il quorum stabilito, fissato al 50%.
Quindi, se la giornata di giovedì ha dimostrato, non senza evidenti contraddizioni, che la decisione giuridica può sovrastare il giudizio democratico del Belpaese già emesso illo tempore dal popolo italiano, allora è inevitabile un’altra sentenza: poveri papà, povere mamme, poveri bimbi, povera natura, povera Italia.