Nel cuore di giugno 2025 il lungo antagonismo tra Israele e Iran ha varcato una soglia che per decenni era rimasta temuta ma non attraversata: quella dello scontro militare diretto su vasta scala. Se in passato il confronto si era consumato prevalentemente nell’ambito della cosiddetta guerra per procura – affidata a milizie, gruppi alleati e operazioni coperte – oggi assistiamo ad un salto di qualità che potrebbe modificare profondamente l’equilibrio strategico del Medio Oriente.
L’attacco preventivo di Israele – Tutto è iniziato con l’operazione israeliana denominata “Leone Nascente”, un massiccio attacco aereo sferrato dal 12 giugno contro i principali impianti nucleari e militari iraniani. Obiettivi centrali sono stati i siti simboli del programma nucleare iraniano, insieme a basi aeree, depositi missilistici e installazioni strategiche. Al di là dei danni materiali, Israele ha colpito anche il vertice militare e scientifico di Teheran, eliminando diversi alti ufficiali e scienziati nucleari, in un’operazione di decapitazione mirata a minare la capacità di comando e sviluppo atomico dell’Iran. La scelta israeliana è apparsa dettata dalla conoscenza che il programma nucleare iraniano stava ormai giungendo alla possibilità concreta di ottenere armi nucleari. In questo scenario, Israele ha ritenuto di non poter più attendere né affidarsi alle tradizionali minacce dissuasive.
La risposta iraniana – L’Iran non ha tardato a rispondere. Con l’operazione “Vera Promessa 3”, Teheran ha lanciato centinaia tra missili balistici e droni contro il territorio israeliano, colpendo vari centri urbani e infrastrutture strategiche, tra cui Tel Aviv e Haifa. Pur essendo in gran parte intercettati dai sofisticati sistemi di difesa israeliani, con l’assistenza attiva degli Stati Uniti, alcuni ordigni hanno comunque raggiunto i bersagli causando vittime civili e significativi danni materiali. In parallelo, anche gruppi armati alleati dell’Iran, come gli Houthi nello Yemen, hanno contribuito agli attacchi, mentre altre milizie legate all’Iran in Iraq e Siria hanno per ora mantenuto un profilo prudente, minacciando ulteriori azioni solo in caso di un più ampio intervento americano.
Il fragile equilibrio delle mediazioni internazionali – Mentre le armi parlavano, la diplomazia tentava invano di arginare la crisi. Le Nazioni Unite, l’Unione Europea, la Francia, la Russia e la Cina hanno moltiplicato gli appelli alla moderazione. Ma sia Israele che Iran hanno, di fatto, ignorato le sollecitazioni a interrompere il ciclo di escalation. Gli Stati Uniti, pur non coinvolti direttamente negli attacchi israeliani, hanno assunto un ruolo di bivalente: da un lato hanno sostenuto Israele nella difesa aerea, dall’altro hanno esortato entrambe le parti a negoziare. Il fallimento di un previsto nuovo round di colloqui nucleari indiretti tra Washington e Teheran ha segnato il temporaneo congelamento di ogni tentativo di risoluzione diplomatica.
I nuovi rischi strategici – Questo confronto diretto ha messo in discussione uno dei pilastri che fino ad oggi aveva contenuto il rischio di guerra aperta: la deterrenza reciproca. Israele ha scelto l’azione preventiva nonostante la certezza di una ritorsione iraniana; l’Iran ha risposto nonostante i rischi di ulteriori attacchi israeliani. Si è creata così una dinamica pericolosamente autonoma, dove la logica del primo colpo sembra aver soppiantato la prudenza della dissuasione. Due gli scenari ora possibili: un’escalation controllata, in cui entrambi i contendenti mantengano il conflitto entro limiti taciti, evitando una guerra regionale allargata ma continuando a colpirsi periodicamente; un’escalation incontrollata, dove la spirale di attacchi e contro, attacchi potrebbe trascinare nel vortice nuovi attori regionali, con il rischio concreto di un conflitto allargato nel cuore del Medio Oriente.
Il fronte economico – Parallelamente, le conseguenze economiche globali cominciano a manifestarsi. I prezzi del petrolio sono già saliti sensibilmente e lo spettro del blocco dello Stretto di Hormuz , il collo di bottiglia da cui transita circa il 20% del petrolio mondiale, incombe come ulteriore fattore destabilizzante. L’intreccio tra logistica, trasporti marittimi e mercati energetici rischia di aggravare le attuali vulnerabilità delle catene di approvvigionamento internazionali, alimentando una nuova ondata inflattiva che potrebbe toccare i mercati finanziari globali.
Il dilemma nucleare e la spirale dell’irreversibilità – L’azione preventiva avviata da Israele contro le infrastrutture nucleari iraniane rischia di aver generato, paradossalmente, un punto di non ritorno. Piuttosto che dissuadere Teheran, l’offensiva potrebbe spingere l’Iran ad accelerare e dislocare ulteriormente in strutture protette il proprio programma atomico, rendendolo più articolato, più nascosto e progressivamente più difficile da neutralizzare in futuro. In questo scenario, la logica della completa distruzione diventa per Israele quasi obbligata: o il programma iraniano viene interamente smantellato, oppure, se lasciato anche solo parzialmente recuperabile, l’Iran finirà per consolidare il proprio potenziale nucleare, ponendo le basi per un confronto strategico ancora più rischioso. A cascata, questa corsa alla capacità nucleare sta già proiettando le sue ombre su altri attori regionali. Arabia Saudita, Egitto e altre potenze potrebbero valutare, nel medio periodo, l’opportunità di dotarsi di propri programmi nucleari, nel tentativo di bilanciare una regione sempre più instabile e polarizzata. La crisi attuale rappresenta, di fatto, una sfida aperta non solo alla stabilità regionale, ma anche alla credibilità stessa dell’ordine internazionale costruito sul multilateralismo e sulla diplomazia preventiva. Il conflitto Israele, Iran del giugno 2025 rappresenta oggi una frattura geopolitica difficile ma non impossibile da ricomporre se verranno raggiunte determinate condizioni .