“L’aborto è la più grande minaccia per la pace”. In questo nostro vacillante e mortifero tempo, segnato da gravi conflitti in corso e nel quale, come la canicola estiva da poco sopraggiunta, si diffonde il timore collettivo di una guerra mondiale, la celebre frase di Madre Teresa dovrebbe accordare le opinioni di ognuno di noi.
Nel discorso che la Santa tenne nel 1994 al National Prayer Breakfast di Washington, esprimendo la sua netta contrarietà all’aborto, sollevò infatti un quesito la cui riflessione necessiterebbe di profondi ripensamenti: “Se una madre può uccidere il proprio figlio, nel suo stesso grembo, che cosa impedisce a me di uccidere te e a te di uccidere me?”.
Con una simile domanda Madre Teresa evidenziava il paradosso per cui distruggere il sangue del proprio sangue induceva (e purtroppo tutt’ora induce) ad un’indignazione decisamente inferiore a quella suscitata da un omicidio “normale”. Tuttavia non è più demoniaco, nel condiviso orrore dei due fatti, che una madre sopprima la sua piccola vita generata?
Se ancora ad oggi, sembra dilagare la tendenza ad ignorare questa esistenziale contraddizione, la “perfida Albione” spicca ai primi posti della suddetta ipocrisia. La Camera dei Comuni del Regno Unito ha infatti approvato l’emendamento proposto dalla laburista Tonia Antoniazzi, finalizzato alla depenalizzazione dell’aborto anche oltre il limite delle 24 settimane previsto dell’Abortion Act del 1967.
La modifica legislativa introdotta, approvata con 379 favorevoli e 137 contrari, elimina le conseguenze penali per tutte le donne che sopprimeranno la loro creatura dopo le 24 settimane. L’emendamento sorge come reazione ad alcuni casi controversi divenuti di pubblico interesse nel Regno Unito: celebre quello di Carla Foster condannata nel 2020 per aver abortito alla trentaduesima settimana e mediaticamente pungente quello di Nicola Packer, assolta dopo un lungo processo per aver assunto la pillola interruttiva dopo 26 settimane di concepimento asserendo di ignorare il proprio stato interessante.
Prima della proposta della sinistra governativa britannica, l’aborto in UK era totalmente legale fino alla ventiquattresima settimana se autorizzato da due medici. Dopo tali termini era consentito solo in caso di gravi rischi per la salute materna o malformazioni gravi del feto. Oltre le 24 settimane si entrava infatti nel campo penale disciplinato dall’antica legge Offences Against the Person Act del 1861, tuttavia raramente applicata.
La depenalizzazione introdotta ha prodotto quindi nei fatti il seguente risultato: l’aborto dopo le 24 settimane formalmente e nella legge scritta sarà ancora un reato, ma nella pratica non potrà essere più perseguibile.
Esultano per la notizia le fazioni progressiste, gli attivisti pro-choice come BPS, che esaltano la modifica come “giornata storica e fondamentale per i diritti delle donne”. La tutela materna sarebbe quindi affermare, con la solita manfrina del “corpo è mio quindi me lo gestisco io” (principio bioetico che ovviamente non valeva per i novax), che è possibile non solo disintegrare la propria prole, ma addirittura procedere in tale aberrazione quando essa è quasi del tutto costituita.
Dove sono ora tutti i sostenitori dell’interruzione? Tra questi spiccano filosofi e pensatori emeriti come l’australiano Peter Singer, il quale ritiene da sempre come fattibile e non moralmente illecito l’aborto in quanto il feto nelle poche settimane non costituirebbe un essere umano. Ora che l’amica Albione non perseguirà più le donne che si macchieranno di gettare nel dimenticatoio dell’esistenza i propri piccoli anche dopo le 24 settimane, il noto saggista avrà il coraggio di abiurare le sue concezioni? Sarebbe giullaresco dopo simili e precise opinioni, arrampicarsi sugli specchi per giustificare quello che, dopo sei mesi gestazionali, sarebbe più giusto denominare “infanticidio”.
Inevitabile per la novità introdotta dai laburisti (appoggiata pubblicamente dallo stesso premier Keir Starmer) la reazione di sdegno delle ali più conservatrici, dai pro-life alla Chiesa Cattolica, fino a numerosi medici obiettori i quali nutrono il timore che tale correzione normativa possa condurre ad aumentare il numero degli aborti tardivi per futili motivi (per esempio il sesso non gradito) e le interruzioni post-natali (ovvero i feti espulsi ancora vivi).
Se si ha inoltre la pazienza di buttare un’occhio ai numeri, incrementa ancor di più l’aria sinistra sul futuro. Infatti, l’aborto nel Regno Unito è in forte accrescimento: tra il 2012 e il 2016 la media degli aborti annuali è rimasta ferma ai 185.000 casi. Nel 2022, nonostante la variegata disponibilità contraccettiva le interruzioni sono giunte a 250.000. Di questi, è giusto ricordare che solo l‘1% avviene oltre la ventesima settimana ma il rischio che l’emendamento possa aumentare i casi non è privo di fondamenta.
Difficile per chi ama la vita rimanere impassibile di fronte all’ennesimo passo a vuoto dell’umanità. Il filosofo americano Robert George (collega di Singer a Princeton), sostiene infatti che l’aborto è immorale in quanto il feto non è un semplice grumo cellulare bensì un vero e proprio essere umano. Se quest’ultimo infatti è dotato di determinate caratteristiche che lo contraddistinguono (come l’autocoscienza, il libero arbitrio ecc…), è doveroso riscontrarne nella sua struttura principiale, che è appunta quella fetale, quella dignità che viene riconosciuta alla persona negli sviluppi successivi. George afferma infatti che l’essere umano ha dignità in quanto è razionale, e tale natura dell’uomo non è data dalle sue capacità attuative (camminare, pensare ecc) ma dal solo fatto che esso sia predisposto a metterle in pratica. La frondosa quercia è stata un seme, e se distruggo tale semenza non posso dimenticare che ho impedito alla terra di avere un meraviglioso albero in grado di ossigenarci solo perché mi nascondo dietro al fatto che quel piccolo chicco non aveva ancora doti per farlo.
E se un paese importante come il Regno Unito, cosi globalmente influente, riesce a divenire nel giro di pochi anni una sorta di insulare abortificio, quali conseguenze potrebbero attanagliare il mondo? Una terra dove ormai l’uccisione della propria creatura viene siglata come un passo enorme di civiltà, dove imperversano conflitti animati da interessi geopolitici e religiosi, rimangono soltanto i conservatori ad inorridire di fronte a tale aberrazione?
Se Madre Teresa oggi fosse qui, verrebbe abbracciata anche dal più ateo fra gli atei. Il motivo? Perché ha espresso una, seppur indicibile, non sacrosanta ma “scientifica” verità.