Parigi – Teheran, 1979. Quando l’ayatollah Ruhollah Khomeini sbarcò all’aeroporto Mehrabad di Teheran il 1° febbraio 1979, accolto da folle in delirio, il mondo assistette alla nascita di un nuovo ordine islamico rivoluzionario. Meno noto al grande pubblico è il ruolo svolto dalla Francia e dai suoi apparati diplomatici e di intelligence nell’agevolare quel ritorno, in un quadro di rivalità strategiche che coinvolgeva direttamente anche Stati Uniti e Gran Bretagna.
Dopo essere stato espulso dall’Iraq nel 1978 su pressione dello Scià Mohammad Reza Pahlavi, Khomeini trovò accoglienza in Francia, nella cittadina di Neauphle-le-Château, a ovest di Parigi. Qui, sotto la presidenza di Valéry Giscard d’Estaing, l’ayatollah godette di una libertà d’azione insolitamente ampia per un leader rivoluzionario in esilio: accesso illimitato alla stampa internazionale, diffusione capillare dei suoi messaggi audio diretti ai fedeli iraniani, assistenza logistica indiretta da parte dell’intelligence francese (DGSE), oltre alla protezione della gendarmeria. In breve tempo, la sua abitazione divenne il cuore operativo della rivoluzione islamica, mentre i contatti con i militanti a Teheran si intensificavano.
Le ragioni del sostegno francese a Khomeini sono complesse. Sul piano energetico, la Francia aveva forti interessi petroliferi in Iran ma non godeva dei privilegi garantiti allo Scià da Washington e Londra. Indebolire il regime filoamericano rappresentava quindi un’opportunità per rinegoziare i futuri equilibri energetici. Vi era anche la volontà, non dichiarata ma documentata da fonti diplomatiche, di favorire l’ascesa di un potere islamico fortemente anticomunista, che potesse arginare l’influenza sovietica nella regione senza dover ricorrere a un coinvolgimento militare diretto.
Secondo diverse testimonianze emerse negli anni successivi, tra cui quelle riportate negli studi di Michel Foucault, Jean Gueyras e in rapporti desecretati della CIA e dell’MI6, la Francia fornì a Khomeini una piattaforma globale, ritenendolo — erroneamente — un interlocutore radicale ma controllabile. È in quel contesto che le reti islamiste sciite trovarono per la prima volta legittimità e visibilità a livello occidentale, cambiando il corso della storia del Medio Oriente.
Il calcolo si rivelò errato. Dopo la vittoria della rivoluzione, il nuovo regime islamico guidato da Khomeini assunse rapidamente un profilo autoritario e antioccidentale, rompendo i rapporti con l’ex alleato. Nei primi anni ’80, i servizi segreti iraniani e Hezbollah, sostenuti da Teheran, furono coinvolti in rapimenti e attentati contro cittadini francesi in Libano, mentre l’ambasciata francese a Teheran divenne bersaglio di continue pressioni. Quel sostegno iniziale, utile alla caduta dello Scià, non produsse alcun dividendo strategico per Parigi, che si ritrovò isolata e minacciata proprio da chi aveva contribuito a insediare.
Il soggiorno di Khomeini a Neauphle-le-Château, lontano da essere solo un episodio di esilio, fu uno snodo cruciale nella transizione del potere in Iran e nella trasformazione dell’islamismo politico in una forza geopolitica globale. Il coinvolgimento francese, seppur privo di un intervento militare diretto, resta una delle più evidenti dimostrazioni storiche di come operazioni apparentemente tattiche possano avere conseguenze strategiche fuori controllo.