Il conflitto in Ucraina è giunto a un punto in cui nessuna delle due parti può realmente prevalere. Mosca non ha intenzione di rinunciare ai territori conquistati a prezzo di enormi sacrifici; Kiev, d’altra parte, non può accettare alcuna cessione territoriale, vincolata sia dalla sua Costituzione, sia da un’opinione pubblica che non ammetterebbe un arretramento dopo anni di resistenza. In questo quadro, la prospettiva più realistica non è una pace politica definitiva, ma un congelamento armato del conflitto, una tregua fragile mantenuta in vita dalla pressione internazionale e dalla deterrenza militare occidentale.
Trump e la linea pragmatica americana – La nuova amministrazione statunitense, con Donald Trump, ha già segnato un cambio di passo. Non più un sostegno illimitato e incondizionato a Kiev, ma un aiuto vincolato a un obiettivo preciso: fermare la guerra. Trump ha lasciato intendere che, se la Russia non si mostrerà disponibile al dialogo, sarà l’economia a diventare il campo di battaglia, con nuove e più dure misure di pressione. Allo stesso tempo, però, ha escluso ogni coinvolgimento diretto di truppe americane, offrendo invece intelligence, sorveglianza satellitare e strumenti di difesa avanzata. È una linea pragmatica: contenere i costi per Washington e trasferire il peso dell’impegno militare e logistico sulle spalle degli europei.
Macron e l’ambizione francese – In netto contrasto, Emmanuel Macron spinge su un’agenda diversa, che appare spesso eccessiva rispetto alle reali possibilità europee. La sua idea di una “coalizione dei volenterosi”, pronta a garantire militarmente la sicurezza ucraina con una presenza internazionale di terra, aria e mare, si colloca a metà strada tra ambizione e azzardo. La Francia cerca così di presentarsi come guida politica e militare dell’Europa, ma questa spinta non è pienamente condivisa né da Berlino né da altri governi. Dietro la retorica della leadership europea si intravede anche l’interesse diretto di Parigi verso le risorse minerarie ucraine, fondamentali per l’industria strategica del futuro.
L’Europa divisa tra realtà e ambizione – Il divario tra le due linee è evidente: da una parte la prudenza pragmatica di Washington, che vuole fermare la guerra senza moltiplicare i rischi; dall’altra la grandeur francese, che punta a un protagonismo europeo oltre le effettive capacità militari e politiche dell’Unione. L’Europa, nel complesso, tende a un approccio più cauto: rafforzare la difesa aerea ucraina, sostenere la resistenza sul piano logistico e tecnologico, ma senza impegnarsi in uno scontro frontale con Mosca che potrebbe degenerare in una nuova cortina di ferro.
La prospettiva più concreta – Alla luce di questi elementi, l’esito più probabile resta quello di una tregua sorvegliata. Non pace, non resa, ma congelamento del fronte con una protezione occidentale multilaterale. La Russia conserverà i territori occupati senza riconoscimento internazionale; l’Ucraina sarà protetta e sostenuta, ma non reintegrata integralmente nei suoi confini; l’Europa avrà il compito di bilanciare le proprie ambizioni con le sue reali possibilità. In definitiva, non sarà un accordo a chiudere la guerra, ma l’impossibilità di vincerla. E in questo spazio di stallo, tra la prudenza americana e l’attivismo francese, si consumerà la vera partita europea: scegliere tra l’illusione di un protagonismo militare e la responsabilità di una tregua vigilata.
Un equilibrio provvisorio – Il conflitto in Ucraina è giunto a un punto in cui nessuna delle due parti può realmente prevalere. Mosca non ha intenzione di rinunciare ai territori conquistati a prezzo di enormi sacrifici; Kiev, d’altra parte, non può accettare alcuna cessione territoriale, vincolata sia dalla sua Costituzione sia da un’opinione pubblica che non ammetterebbe un arretramento dopo anni di resistenza. In questo quadro, la prospettiva più realistica non è una pace politica definitiva, ma un congelamento armato del conflitto, una tregua fragile mantenuta in vita dalla pressione internazionale e dalla deterrenza militare occidentale.
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