di Antonella Baiocchi, psicoterapeuta ed esperta in criminologia, autrice di “La violenza non ha sesso” (2019) e “Abusi sui Minori: il ruolo devastante dell’Analfabetismo Psicologico e del mancato riconoscimento della Bidirezionalità della violenza” (2025), Alpes Italia Editore.
I fatti
La rimozione del gruppo Facebook “Mia Moglie”, dove migliaia di utenti condividevano senza consenso immagini intime delle proprie partner, e la chiusura del sito Phica.eu, attivo da anni nella diffusione di immagini rubate o manipolate, meritano una condanna netta e senza appello.
Siamo di fronte a condotte che violano dignità, privacy e integrità psicologica: non “goliardia”, ma violenza a tutti gli effetti.
Oltre la condanna: i limiti della reazione pubblica
La reazione collettiva è stata giusta e necessaria, ma il modo in cui il fatto è stato raccontato rivela distorsioni culturali che rischiano di alimentare ulteriori ingiustizie:
- L’unidirezionalità della violenza
Questa vicenda è stata letta quasi esclusivamente come ennesima conferma che la violenza sia un fenomeno maschile con la donna sempre vittima. È una cornice in parte vera (in questo episodio le vittime erano donne), ma tossica se assunta come “lente unica attraverso cui leggere la violenza”. In questo modo si nega la realtà documentata (seppur tenacemente negata dal politicamente corretto) che la violenza riguarda tutti i generi e che uomini e donne possono agire, così come subire, abusi e violenza e che in famiglia, sul lavoro, nelle relazioni affettive, il genere non è mai garanzia di innocenza o di colpevolezza. - La rappresentazione selettiva delle vittime
I media tendono a dare massimo risalto alle storie di donne vittime, lasciando in ombra altre figure fragili: bambini abusati, anziani maltrattati, disabili umiliati, uomini in condizioni di vulnerabilità vessati da uomini e donne. Dietro sigle come “infanticidio”, “disabilicidio”, “anzianicidio”, “maschicidio”, “uxoricidio” si nasconde un medesimo grido di dolore: tutte le vittime hanno pari diritto a tutela e protezione. Una società che gerarchizza le vittime non è civile, ma parziale e cieca.
La violenza colpisce i vulnerabili, di qualunque sesso essi siano.
La violenza è un problema complesso che non può essere ridotto a una sola variabile, come il genere. Le dinamiche di potere e controllo sono cruciali per comprendere come la violenza si manifesta in diverse situazioni. In alcuni casi, gli uomini possono essere i carnefici e le donne le vittime e viceversa: in altri casi, le donne possono essere le carnefici e gli uomini le vittime.
La cronaca restituisce continuamente episodi che parlano chiaro: la violenza è un fenomeno sistemico e trasversale al genere che si abbatte su chiunque. Realtà che raramente ricevono l’attenzione che meriterebbero ed ignorate dalle statistiche istituzionali, fortunatamente documentate da blog indipendenti come www.violenza-donne.blogspot.com e www.lafionda.com, che raccolgono in modo certosino casi di cronaca che invalidano l’ideologia unidirezionale della violenza (la violenza è prerogativa dell’uomo e le donne ne sono esenti) a favore della bidirezionalità (la violenza è un problema che riguarda tutte le persone), che origina dall’incapacità di realizzare il cosiddetto “reciproco rispetto”: chi ha più potere (psicologico, fisico, economico, di ruolo, legale, sociale, digitale) impone il proprio volere prevaricando chi si trova in posizione di vulnerabilità.
La radice: non è il genere ma l’Analfabetismo Psicologico.
Lo ripetiamo da tempo: il problema non è il genere. Il problema è culturale: è l’Analfabetismo Psicologico (la scarsa conoscenza delle dinamiche interiori ). Spiegato in soldoni, significa che nel 2025 per relazionarsi ci si affida a mappe tossiche che ci portano fuori strada dagli obiettivi di amore, pace e rispetto: mappe che tra le più importanti conseguenze, impedisco di intercettare il dolore altrui e comprendere il valore dell’opinabile, del relativo, del “diverso”, ci illudono che al mondo ci sia chi ha ragione e chi ha torto, chi è detentore di verità e chi di errore.
Chi non conosce il valore del relativo e dell’opinabile vive ogni differenza come errore da schiacciare. Ne deriva una gestione dicotomica delle divergenze (“vinco io o vinci tu”) che trasforma chi ha potere in carnefice e chi è in posizione di vulnerabilità/debolezza in vittima.
Tutte le violenze (femminicidi, maschicidi, infanticidi, anzianicidi, disabilicidi, etc.) sono forme di Debolicidio: sono persone che si sono trovate, cioè, in posizione di vulnerabilità/debolezza a divergere con un interlocutore in posizione di potere, affetto da Analfabetismo Psicologico (elemento fondamentale alla base della violenza, in quanto chi è “alfabetizzato” evita accuratamente di prevaricare anche se si trova nella posizione di poterlo fare).
La vera frattura, dunque, non è uomo-donna, ma alfabetizzati vs analfabeti psicologici. E il nemico non è il sesso, ma la cultura tossica che normalizza la sopraffazione.
Entrando nel merito del caso specifico, l’abuso nella vicenda “mia moglie” è stato alimentato dalla combinazione tossica di Potere ed Analfabetismo Psicologico, detenute dai “carnefici”:
- Potere psicologico-relazionale, fondato sull’accesso intimo a immagini private;
- Potere digitale, capacità di diffondere quelle immagini su larga scala, tenendole criptate all’abusato;
- Potere sociale, rafforzato dal consenso della comunità virtuale.
È questa combinazione tossica ad aver schiacciato le vittime, non un dato biologico di genere.
Da qui l’innovazione necessaria: tutte le violenze vanno lette come abuso di potere da parte di chi è “Analfabeta Psicologico”, ai danni di chi si trova in posizione di vulnerabilità.
“Mio marito” una vendetta che conferma l’Analfabetismo Psicologico.
Dopo l’orrore di “Mia Moglie”, che ha calpestato la dignità di molte donne, è arrivata la risposta di “Mio Marito”, con affissioni in città di foto di ex partner. Anche questo è un esempio lampante di come l’Analfabetismo Psicologico possa alimentare la spirale della sopraffazione, trasformando chi ieri era vittima in carnefice oggi e viceversa «ieri hai vinto tu, oggi vinco io». Non si tratta di giustizia riparativa, ma di violenza che replica lo stesso schema dicotomico alimentando la catena della violenza. La vendetta non restituisce dignità a chi ha subito, non ripara il danno e non tutela le persone vulnerabili; al contrario, irrigidisce i fronti e impedisce percorsi di responsabilità, riparazione e prevenzione… Ma questo è in grado di comprenderlo solo chi ha superato l’Analfabetismo Psicologico ed è fornito di competenze psicologiche-emotive-relazionali.
Suggerimenti e linee d’azione.
Per uscire da questa impasse culturale occorrono tre direzioni:
- Lessico e metriche inclusive
Istituzioni e media devono registrare e comunicare dati su tutte le vittime vulnerabili, senza gerarchie ideologiche. - Prevenzione educativa
Introdurre programmi di educazione relazionale e civica per contrastare l’analfabetismo psicologico, insegnando a gestire divergenze e conflitti senza ricorrere alla violenza. - Giustizia e informazione più lucide
Evitare abbagli selettivi e vittimizzazioni secondarie, riconoscendo che la violenza può essere fisica (pugni, coltellate, avvelenamenti), psicologica (umiliazioni, minacce), economica o digitale.

Conclusione
Condanniamo senza appello la violenza digitale dei gruppi “Mia Moglie” e “Phica.eu”.
Ma smettiamo di semplificare. La realtà ci chiede una tutela inclusiva e fondata sui fatti: la violenza non ha genere, nasce da relazioni gestite con mappe tossiche (Analfabetismo Psicologico) e può essere agita da chiunque si trovi in posizione di Potere e subita da chiunque si trovi in posizione di vulnerabilità.
È su questa verità (scomoda ma necessaria) che uomini e donne devono allearsi per costruite educazione, prevenzione e giustizia.


















