Silvana De Mari è una delle voci più discusse e ascoltate del panorama culturale italiano. Autrice di saggi e romanzi fantasy di grande successo, ha sempre intrecciato letteratura e attualità, fede e società. In questa lunga conversazione affronta temi caldi – dall’omicidio di Charlie Kirk al caso di Iryna Zarutska, dai conflitti in Medio Oriente e in Ucraina al dibattito su aborto e suicidio assistito – spiegando perché, oggi più che mai, «il coraggio e la verità sono le armi per affrontare i draghi del nostro tempo».
L’omicidio di Charlie Kirk nello Utah ha scosso gli Stati Uniti. È stato letto da molti come delitto politico. Come lo interpreta?
«Non siamo di fronte a un antagonismo politico. Non è stato un crimine politico: è stato un crimine religioso. Charlie Kirk è stato ucciso in odium fidei, per odio al cristianesimo. Kirk e Martin Luther King sono sovrapponibili: entrambi repubblicani, favorevoli al secondo emendamento, contrari a discriminazioni sia in positivo che in negativo, entrambi contrari all’aborto. Martin Luther King non ne parlò solo perché all’epoca era talmente ovvio che l’aborto fosse sbagliato che non serviva dirlo. Kirk, come me, difende il diritto delle persone a comportamento omosessuale di vivere come desiderano, ma da cristiano lo considera un peccato e un grande dolore, una perdita della straordinaria bellezza dell’amore tra uomo e donna.»
Davanti a questi episodi, quali anticorpi culturali servono nelle scuole e nelle università?
«L’unica cosa che può funzionare è la dialettica vera. Servono persone con coraggio da leone e una dialettica formidabile come Kirk. Dopo la Seconda guerra mondiale, per un breve periodo era assolutamente vietato ai professori far comprendere la propria idea politica. Come ha spiegato Jacques Ellul in Propagande, la scuola può essere la forma di propaganda più potente perché i ragazzi sono in condizione di inferiorità. Un bravo insegnante è quello di cui non si riescono a intuire le idee politiche. Con il ’68 tutto questo è saltato e si è passati all’occupazione delle “casematte del potere”: magistratura, scuola, spettacoli, informazione.»
Restando sul tema della violenza, il caso della giovane Iryna Zarutska, uccisa su un treno negli Stati Uniti, ha scosso molti.
«Non è un banale episodio di cronaca nera. È atroce per due motivi: il fatto che sia stato tenuto nascosto dai grandi media e la solitudine della vittima, che muore senza nessuno che la aiuti o cerchi di salvarla o almeno la conforti. Gli altri passeggeri se ne vanno, forse addestrati da anni di incitamento all’odio antibianco? Se Iryna fosse stata un micio, l’avrebbero soccorsa. Ho guardato quella scena più volte e ogni volta mi metto a piangere: avrei voluto essere lì ad abbracciarla. Spesso questo episodio viene ricordato insieme a Charlie Kirk: sono due facce dello stesso suicidio della civiltà cristiana occidentale.»
A proposito di Occidente sotto attacco, veniamo al Medio Oriente: qual è stato secondo lei l’errore strategico più grave di Israele?
«Andarsene da Gaza nel 2005 (disimpegno) con un patto di non aggressione. Poi permettere il riarmo di Gaza. Undici anni fa arrivarono in un’estate 25.000 missili. E un altro errore: il patto successivo, sempre di non aggressione, che ha normalizzato l’ingresso quotidiano di migliaia di frontalieri nei kibbutz, abbassando la guardia.»
Spostandoci invece a est, sulla guerra tra Russia e Ucraina, come giudica l’attuale situazione?
«Questa guerra non doveva nemmeno iniziare: gli accordi di Minsk avrebbero dovuto impedirla. Col tempo la gente si incattivisce, lo stallo diventa pantano. Sono convinta che in qualche modo finirà, e presto, ma al momento non ho ancora gli elementi necessari a capire come.»
Restando sui grandi temi etici, in Francia l’aborto è entrato in Costituzione. Come legge questo clima culturale e il dibattito sull’aborto?
«Quando qualcosa diventa diritto, prima o poi rischia di diventare dovere. Se è un diritto è perché non danneggia. La promiscuità sessuale è stata presentata come progresso, poi l’aborto è diventato buono, anzi meglio, fino ad arrivare all’aborto praticamente obbligatorio. Dobbiamo fare enorme attenzione: si sta uccidendo una civiltà che per secoli ha protetto i più fragili.»
In Italia, la Sardegna ha approvato una legge sul suicidio assistito, mentre quella toscana è stata impugnata. La Consulta ha invitato il Parlamento a intervenire. Cosa pensa del suicidio assistito?
«Se avessimo un governo non conservatore saremmo già caduti in questo baratro. Ricordiamoci sempre che ciò che è considerato un diritto può diventare un dovere. Quando un paziente dice “voglio morire”, in realtà spesso dice: “Fate qualcosa di meglio per consolarmi rispetto a quello che state facendo, che è insufficiente”. Nei reparti di oncologia dove si cura il dolore e si fa sentire al malato che qualcuno tiene a lui, nessuno chiede di morire. Un medico che non sa dare coraggio al paziente causa le richieste di suicidio ed eutanasia.»
Durante la nostra conversazione ha più volte richiamato le radici cristiane e il loro ruolo nel salvare i fragili. Perché è importante ricordarlo?
«Perché la civiltà cristiana ha generato le cattedrali più belle, l’arte, la letteratura, la scienza. Ha salvato i bambini malformati e gli emarginati quando le altre culture li avrebbero abbandonati. Senza questa memoria, smettiamo di essere ciò che siamo.»
Veniamo al suo ultimo libro, Gesù figlio di Giuseppe. Perché raccontare Gesù dal punto di vista di Giuseppe?
«Per chiarire che anche il Messia ha bisogno di un padre. Giuseppe si sente inadeguato e intimorito, ma comprende che deve fidarsi di Dio: prende in braccio il bambino, lo porta in bottega, lo fa crescere. La paternità insegna, dà coraggio, porta fuori casa: oggi è demonizzata, ma è custode della vita.»
Qual è, secondo lei, il vero spirito battagliero dei cristiani?
«Il cristianesimo non è una religione di mammolette. È fondato da Gesù Cristo, figlio del Padre e Signore degli eserciti, colui che ha distrutto Sodoma. Nella nostra tradizione ci sono santi armati: San Michele Arcangelo con la spada, San Giorgio con la lancia e San Giuseppe con l’ascia. Quando la terra è attaccata, quando donne e bambini vengono ridotti in schiavitù, il cristiano deve combattere: lo hanno fatto a Lepanto, a Vienna, sulle coste devastate dai saraceni. Combattere non significa cercare violenza, ma difendere i fragili e la propria civiltà. Io stessa porto un rosario d’acciaio, come quelli delle guardie svizzere e dei marines cattolici: è il segno che la fede richiede coraggio e azione, non solo parole dolci.»
In poche parole, cosa serve oggi per non arrendersi davanti ai “draghi” del nostro tempo?
«Coraggio e verità. Sempre.»




















