Un Nobel tardivo e autocelebrativo – C’è un che di paradossale nei Premi Nobel moderni: anziché rivelare ciò che ancora non sappiamo, sembrano premiare la riscoperta dell’ovvio. A Stoccolma, tre economisti sono stati insigniti per aver dimostrato con formule impeccabili, che la crescita nasce dall’innovazione. Un’evidenza che la storia aveva già narrato con le mani e con il sudore di chi ricostruiva un continente distrutto. La matematica, in questo caso, non ha scoperto nulla: ha soltanto confermato ciò che era già stato vissuto e perfino superato.
Quando la teoria rincorre la vita – L’Italia del dopoguerra è la prova vivente di quel principio oggi premiato come se fosse nuovo. Non servivano modelli, ma coraggio, visione e fiducia. Dalle macerie della guerra nacque un’economia reale, fondata sulla capacità di innovare e di diffondere il sapere tecnico. Ogni officina, ogni fabbrica, ogni invenzione furono il laboratorio di una crescita spontanea, guidata dall’intelligenza del lavoro e non da teoremi, la “crescita endogena” era già un fatto, non un titolo di ricerca.
La matematica non scopre, conferma – Il limite di questi Nobel è di scambiare la conferma per scoperta. La matematica può illustrare, non ispirare; quantificare, ma non creare. Può disegnare la curva del successo, ma non generare la spinta iniziale che lo produce. La teoria arriva sempre dopo, come un ritratto di ciò che è già accaduto. E il ritratto, per quanto perfetto, non restituisce mai la vita del soggetto che rappresenta.
Keynes lo aveva già capito –John Maynard Keynes aveva intuito la complessità del fenomeno economico. Nel suo moltiplicatore vedeva la possibilità della crescita, ma anche la sua ombra: la depressione, la paura, la paralisi che possono invertire il ciclo. Aveva compreso che l’economia non è una scienza esatta, ma una dinamica umana fatta di fiducia e timore, di slanci e di blocchi. I Nobel di oggi hanno ignorato metà del suo pensiero, scegliendo la parte rassicurante del modello: quella che non disturba, non divide, non mette in discussione.
La teoria dopo la pratica – Mentre gli accademici di Stoccolma formulano ciò che altri hanno già fatto, la storia dell’economia continua a camminare da sola. Le innovazioni del secolo scorso non nacquero nei laboratori universitari, ma nei capannoni, negli studi tecnici, nei garage dove l’ingegno cercava di risolvere problemi concreti. Il progresso non si dimostra: si realizza. E se il Nobel oggi appare in ritardo, è perché la realtà continua a precederlo, come un treno che ha già lasciato la stazione mentre il teorico ne calcola la velocità.
A Oslo, la stessa logica invertita – Lo stesso smarrimento si è visto a Oslo, con il Nobel per la Pace. Anche lì, il criterio sembra essersi capovolto: si premia non chi costruisce la pace, ma chi ne rappresenta la frattura. Invece di rendere omaggio a chi contribuisce concretamente alla armonia tra i popoli, il premio è stato assegnato quest’anno a una figura sindacale che si oppone alla politica del proprio Paese. Non importa se quella politica sia di destra, di sinistra o di centro: il paradosso resta, e resta enorme. Un premio che dovrebbe rappresentare la riconciliazione diventa il simbolo del conflitto; una celebrazione della pace si trasforma in un atto di militanza. Così, mentre a Stoccolma si celebra l’ovvio e a Oslo si incoraggia il dissenso, il senso stesso del Nobel sembra sfumare.
Conclusione – I due premi, quello per la Pace e quello per l’Economia, condividono un tratto comune: l’inversione del criterio originario. Si onora non ciò che apre vie nuove, ma ciò che conferma o divide. Eppure, il mondo continua a cambiare grazie a chi crea, rischia e unisce. La scienza economica non scopre la crescita: la registra. La diplomazia non inventa la pace: la riconosce. Ma la vera grandezza quella che Alfred Nobel intendeva premiare, non nasce dalle formule né dalle ideologie, tanto che il premio Nobel per la matematica non esiste, bensì dal coraggio silenzioso di chi costruisce. Tra Oslo e Stoccolma, il Nobel ha smarrito la sua bussola: alla scoperta si sostituisce la conferma, alla pace la contesa. Ma il genio e l’armonia quelli veri, restano ancora fuori dai saloni dei premi.


















