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La strategia di Trump e le reazioni di borsa

A volte anche il Presidente Usa è vittima dei suoi stessi uomini di vertice la cui nomina non può essere revocata senza conseguenze peggiori dello stesso male

Alberto Zei by Alberto Zei
31 Dicembre 2018
in Esteri
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La strategia di Trump e le reazioni di borsa
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di Alberto Zei

Con il “senno del poi” –  Se Trump avesse avuto la possibilità di licenziare Powell già da due mesi a questa parte l’avrebbe sicuramente fatto; non manca a lui infatti, la coerenza delle sue decisioni, quantunque siano sempre oggetto di decisa opposizione da parte dei suoi avversari politici.

Per il licenziamento di Powell ci sono delle obiezioni di carattere finanziario che effettivamente ricadono per fatti concludenti sulla Federal Reserve a causa della eccessiva tempestività di voler considerare consolidata la ripresa dell’economia Usa. È stato  infatti  con una certa disinvoltura che Powell ha aumentato il costo del denaro, pur essendo questo ancora sotto la linea ottimale di un’inflazione del  2%.

L’economia americana  è indebitata fino al collo, ossia, molto di più di quanto normalmente si creda. Infatti  il suo debito pubblico ha raggiunto la astronomica cifra di 21.500 miliardi di dollari. È vero che l’economia Usa è la prima del mondo ma il valore  assoluto dei debiti può essere simbolicamente rappresentato come l’ altezza delle onde del mare che prescinde dalla profondità sottostante. Ciò in quanto 21.500 miliardi  di dollari rappresentano per chiunque e per ogni tipo di transazione il medesimo valore a prescindere dal creditore o dal debitore.

Quando nei mesi precedenti la Fed aveva portato il costo del denaro a 2,25 %, già allora i mercati avevano dato un importante segno di non gradimento. E adesso a maggior ragione, prima di uscire completamente dalla crisi finanziaria che sta ancora mordendo i polpacci,  necessitava  maggiore cautela ossia, maggiore consolidamento dell’economia non solo americana, per azzardare un ulteriore incremento dei tassi di sconto.

 Non era la prima volta – Già allora Trump  aveva ammonito il Presidente  della Federal Reserve con considerazioni di opportunità, di non alzare il tasso di sconto. Tanto che, vista e considerata la prevedibile regressione di borsa già dall’ottobre scorso, malgrado il tentativo di dissuasione di Trump, tutti i mercati hanno manifestato un significativo segno di nervosimo, dando inizio ad un evidente arretramento dei valori investiti.

Il fatto che adesso in modo del tutto immemore, lo stesso Powell abbia elevato ancora il costo del denaro da 2,25 a 2,50 e che la stessa Fed dichiari che il tasso di crescita americano per il 2018 e per il 2019 si attesterà  ad un valore inferiore a quanto preventivato, sembra piuttosto una conseguenza logica di aver peggiorato la situazione.                                                                                                                                       Oltre a questo va anche aggiunto che mentre Trump ammonisce Pawell di non leggere soltanto  i numeri ma di porre attenzione ai mercati quest’ultimo  ha preannunciato che la Fed avrebbe ulteriormente incrementato il costo del denaro nel corso del 2019 quando il tasso neutrale potrebbe benissimo attestarsi al 2,75%. Valeva la pena allora di tanto scompiglio?

Si è trattato di una serie di prese di posizione che hanno causato senza alcun dubbio, una catastrofe sulle aspettative di borsa e sull’economia americana, tanto da essere arrivata al record assoluto del calo di venerdì scorso crollando ai minimi di un anno in mezzo fa. E tutto ciò malgrado le raccomandazioni del Segretario del Tesoro Usa,   Mnuchin, ai vertici delle maggiori banche americane di contenere le inevitabili conseguenze dei mercati.

Non possiamo meravigliarci pertanto, se ora Trump afferma con la sua nota determinazione che la Federal Reserve è divenuto  l’unico problema della economia americana. Ma se  questo  è il teorema, allora  il suo corollario è che il problema rappresentato è il Presidente Powell.

L’ aspettativa decisionale – C’è un impedimento però fondamentale che lo stesso Presidente Trump non sta sottovalutando, circa il rimedio a cui egli intenderebbe ricorrere per risalire in questo particolare periodo politicamente turbolento, soprattutto per gli eventi internazionali. La decisione che Trump anche molto plausibilmente, preferirebbe adottare nell’immediato per por fine a questa forte decrescita dei mercati, è quella della rimozione di Powell dalla Federal Reserve.

L’altra possibilità è che Trump, ormai circondato dal largo  fronte interno ed esterno che in questi ultimi tempi egli stesso ha accresciuto senza troppi scrupoli, decida di tenersi almeno per qualche mese ancora  Powell. Ciò avverrebbe probabilmente, in attesa di tempi migliori, pur con la trepidazione che nel 2019  quest’ ultimo continui, come  ha preannunciato, ad aumentare i tassi di sconto.

Il paradosso della situazione –  Per Trump  il dilemma che pertanto si prospetta lo pone in ……amletico dubbio su ciò che intende fare: se infatti, decidesse di mettere in soffitta l’uomo che lui stesso ha nominato, ovvero, Powell, potrebbe generarsi sulle borse mondiali una ulteriore e ancor più grave perdita per la esplicita dipendenza finanziaria della Federal Reserve dalla politica governativa di Trump.

È vero che nei  giorni prossimi dovremmo aspettarci in borsa l’immancabile impennata del cosiddetto rimbalzo tecnico. Ma il rimbalzo tecnico non significa inversione del trend.Il punto più importante della imparzialità della politica monetaria americana da quella del governo federale, rappresenta il concetto fondamentale sul quale la borsa mondiale ha finora confidato. Se invece venisse provato con il licenziamento di Powell, la dipendenza della leadership della stessa Federal Reserve dalla Casa Bianca,  avverrebbe una reazione nel mondo finanziario di non facile previsione.

In effetti, la condizione  che Powell ha determinato all’ economia americana ricorda per analogia il comandante di una nave che per il fatto stesso di essere deposto per incapacità, implicherebbe la preliminare accusa di ammutinamento dei protagonisti e poi tutto il resto. Solo che nei mercati finanziari non ci sono processi, dopo quanto avviene: “…………chi ha avuto, ha avuto, ha avuto; chi ha dato, ha dato, ha dato…….”.

La non  facile previsione sopra accennata, non significa che il risultato del licenziamento  sia necessariamente catastrofico, in quanto potrebbe essere anche quasi indolore, ma com’è noto in borsa l’indecisione e le attese negative sono più rovinose della stessa peggiore realtà dei fatti. A questo punto non è facile capire che cosa avverrebbe, in quanto la forza risolutiva dei problemi che lo stesso

Presidente affronta quasi quotidianamente, supera le previsioni della classica diplomazia consolidata, tanto che le stesse possibili risposte ai vari problemi che si prospettano,  contengono la medesima indeterminazione dei fatti che ne sono causa.

Ma perseverare …….. –  Si tratta di una situazione che non compare soltanto come conseguenza di un atteggiamento imprevedibile al di là dell’oceano, in quanto vi sono delle condizioni abnormi rispetto alle decisioni sottostanti create dai protagonisti che sfuggono alla logica stringente della inevitabilità delle ripercussioni.       Lasciar pertanto scivolare l’economia lungo la china discendente della regressione, dopo la  pioggia di miliardi immessi sui mercati con il  Quantitative Easing (QE) per la politica dei tassi di sconto, sarebbe una contraddizione;  considerato infatti, l’enorme debito pubblico degli Stati Uniti d’America, potrebbe trattarsi forse di un male peggiore di un drastico provvedimento preso a tempo reale.

 

 

Tags: Roma
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