22 giugno 2025 – Il mondo trattiene il respiro. Dopo i raid americani contro i siti nucleari iraniani, Teheran minaccia apertamente la chiusura dello Stretto di Hormuz, la rotta marittima più delicata del pianeta. L’annuncio è arrivato direttamente dai vertici del Parlamento iraniano: “Lo Stretto va chiuso”, ha dichiarato il generale Esmail Kowsari, esponente della potente Guardia Rivoluzionaria. La decisione, precisano da Teheran, è ora nelle mani del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale.
Lo Stretto di Hormuz non è solo un tratto di mare: è il collo di bottiglia del petrolio mondiale. Da qui passa circa il 20% del greggio globale. Bloccarlo significa accendere la miccia di una crisi energetica planetaria, mandare in tilt i mercati, scatenare reazioni a catena potenzialmente fuori controllo.
Washington avverte: “Chiuderlo equivale ad autodistruggersi”
Le parole del vicepresidente americano J.D. Vance sono state nette, cariche di tensione e dal sapore di ultimatum: “Se l’Iran vuole distruggere la propria economia e causare un’ondata di caos nel mondo intero, la decisione spetta a loro. Ma sarebbe un suicidio. E, se necessario, reagiremo”.
Gli Stati Uniti, reduci da un’operazione mirata che – secondo fonti dell’intelligence – ha “rallentato sostanzialmente” lo sviluppo dell’arma nucleare iraniana, assicurano di non voler truppe di terra nel Paese. Ma il tono è cambiato. L’Amministrazione parla ormai apertamente di una guerra contro le ambizioni atomiche di Teheran.
L’ombra lunga del disastro
Il rischio che la crisi degeneri in un conflitto aperto nel Golfo Persico è altissimo. Uno scontro armato nello Stretto di Hormuz non coinvolgerebbe solo Iran e Stati Uniti: trascinerebbe con sé Oman, Arabia Saudita, Emirati, probabilmente Israele. L’intero equilibrio del Medio Oriente – già instabile – verrebbe compromesso. E con esso, la sicurezza energetica dell’Europa e dell’Asia.
“Abbiamo visto molto – ha dichiarato Vance – e ciò che abbiamo visto ci ha convinti ad agire. Ma ora il rischio è che ogni azione successiva sia un’escalation inevitabile”.
Una scintilla che può incendiare il mondo
Le parole del Cremlino non hanno contribuito a rasserenare l’atmosfera. Vladimir Putin ha definito la situazione attuale “l’inizio di una guerra mondiale”. La minaccia nucleare, finora contenuta nel linguaggio diplomatico, è tornata esplicitamente nei discorsi pubblici.
Nel frattempo, Israele resta in allerta, l’Arabia Saudita convoca un vertice di emergenza, la NATO monitora. Le borse mondiali oscillano, il greggio schizza alle stelle. Sembra di sentire l’eco lontano del 1973, del 1991, del 2003: ogni volta che lo Stretto si avvicina al blocco, il mondo precipita sull’orlo del baratro.
Un futuro sospeso
“Non credo che questo si trasformerà in un conflitto prolungato” ha detto Vance. Ma il fatto stesso che debba dirlo dimostra quanto vicino siamo all’irreparabile. In un mondo già indebolito da guerre a est e crisi energetiche globali, l’ultimo nodo strategico del pianeta potrebbe presto diventare il punto di rottura di un sistema che si tiene in piedi su equilibri ormai troppo fragili.
La domanda, adesso, non è più se il conflitto si allargherà.
La domanda è: quando.